Con la finanziaria del Governo Meloni a partire dal 2025 verranno meno alla Sicilia oltre due miliardi e mezzo di euro. Sono risorse (per la precisione: 2.662.500.000) che hanno generato investimenti e nuova occupazione e su cui la Sicilia non potrà più contare.

A fare il resoconto del costo per l’isola della manovra nazionale è la Cgil siciliana, che ha presentato oggi (lunedì 30 dicembre) un report nel quale analizza voce per voce i tagli, facendo anche il punto sullo stato della spesa del Pnrr, del Fondo di sviluppo e coesione e del Fondo sociale europeo plus.

“Con i tagli della manovra si rischia la catastrofe sociale”, commenta la Cgil: “Per quanto riguarda i fondi europei, tra inadempienze degli enti attuatori, primo tra tutti la Regione, e malagestione, si rischia di sprecare una straordinaria occasione, perché la Sicilia non avrà più a disposizione 40 miliardi”.

Cgil: “Si intaccano i pilastri della possibile ripresa”

“La finanziaria nazionale rischia di determinare il deserto economico e produttivo”, spiega il segretario generale Cgil Sicilia Alfio Mannino: “Si intaccano infatti i pilastri su cui si era costruito un minimo di ripresa nel silenzio del governo regionale. La gestione inadeguata dei fondi europei, inoltre, non consentirà i necessari cambiamenti del modello economico e sociale che queste risorse avrebbero potuto contribuire a determinare”.

Per Christian Ferrari, segretario confederale Cgil nazionale, l’atteggiamento del governo verso il Mezzogiorno “era già chiaro al momento dell’approvazione della legge Calderoli. Ma la situazione è perfino peggiorata. Non si rendono conto, evidentemente, che senza sostenere il sistema produttivo meridionale si danneggia l’intera economia nazionale, che non ha nessuna possibilità di agganciare una ripresa solida e duratura se non si rilancia la domanda interna, a partire dai luoghi dove è più bassa”.

Legge finanziaria: tutti i tagli

Quanto ai tagli della manovra nazionale, il report della Cgil dà conto dei risultati del superbonus edilizio, che verranno cancellati dall’abolizione della misura. Dal 2020 a ottobre di quest’anno il superbonus ha generato investimenti per oltre 6,7 miliardi (1 miliardo 650 milioni l’anno) e un incremento annuo di 8 mila lavoratori edili e di 1.500 in settori collegati. “Tutto questo salterà”, sottolinea il sindacato.

A questo va aggiunto il ridimensionamento degli sgravi contributivi per le imprese che assumono. Con il taglio, alla Sicilia saranno destinati 350 milioni contro 1 miliardo 200 milioni della precedente decontribuzione. “Si perderanno 4 miliardi, sarà una catastrofe occupazionale”, dice il report del sindacato. Secondo i calcoli della Cgil, su uno stipendio lordo di 1.500/1.600 euro, in rapporto al quale i contributi sarebbero 600 euro, lo sgravio sarebbe inferiore al 20 per cento, che diventa il 15 per uno stipendio di 1.800 euro. Evidentemente, troppo basso.

Inciderà negativamente anche il taglio lineare del 5 per cento delle spese dei ministeri, che per la Sicilia “si applica a quelle ordinarie e a quelle trasferite dallo Stato, con una riduzione significativa dei finanziamenti in vari settori e in attività di competenza regionale”. Al netto dei trasferimenti per la sanità, la Sicilia nel 2025 subirà una riduzione complessiva dei trasferimenti di 177,5 milioni di euro. Infine, tagli pure alle università, alle quali vengono meno 35 milioni.

Cgil Sicilia: “La finanziaria regionale apre alle clientele”

“A politiche nazionali che non faranno crescere il Paese e il Mezzogiorno e che aumenteranno il disagio sociale, si aggiungono le scelte negative del governo regionale”, riprende Mannino: “Oltre a mostrarsi inconsapevole della profondità della crisi, ha varato una finanziaria regionale che aumenta i centri di spesa e quindi apre alle clientele, non prevedendo invece investimenti per lo sviluppo”. E aggiunge: “Si conferma che si sta sempre più snaturando la funzione di ente di programmazione e indirizzo della Regione”.

Il governo regionale, che è il principale soggetto attuatore, ha fatto “perdere alla Sicilia 338 milioni del Fondo sviluppo e coesione e 975 milioni destinati alle infrastrutture. Mentre oltre 2 miliardi tra Fsc, Fse+ e Pnrr sono oggi a rischio”.

Riguardo il Fondo di sviluppo e coesione “sono stati cancellati progetti per 338 milioni a causa della mancanza di obbligazioni giuridicamente vincolanti”, dichiara Francesco Lucchesi (Cgil Sicilia): “In pratica, non sono state avviate le procedure per l’assegnazione dei lavori”. Rischiano analoga sorte le risorse, per oltre un miliardo, del Fse+, destinate a politiche sociali, per mancata o tardiva pubblicazione degli avvisi.

Non va meglio con il Pnrr. “La Sicilia - osserva Lucchesi - si è rivelata meno preparata di altre regioni già nella capacità di attrarre risorse, con un gap in media della spesa pro capite di 109,73 euro”. Qualche dato in proposito: con la scadenza della rendicontazione alle porte, è scritto nello studio Cgil, la Regione (ente attuatore di 1.763 progetti, molti dei quali ancora non appaltati) ha impegnato circa il 33 per cento delle risorse, ma ha pagato solo il 4,6 per cento delle somme assegnate, creando anche grandi problemi alle imprese esecutrici.

“Mentre la sanità regionale è in ginocchio, tanti dei 767 interventi della Missione salute (980 milioni di finanziamento) rischiano di non partire”, argomenta Mannino: “Solo due case di comunità su 156 previste sono state inaugurate e un ospedale di comunità sui 43 previsti”. Non va meglio per le politiche sociali: solo 200 assistiti in più con l’Adi, a fronte dell’incremento previsto di 39.121 assistiti.

“Se l’autonomia differenziata dovesse essere confermata dal referendum, la Sicilia sarebbe allo sbando”, conclude Mannino: “Tra i tagli del governo nazionale e la mancanza di un’idea di sviluppo del governo regionale la situazione è critica, anche perché i fondi europei non stanno attivando l’auspicata trasformazione dell’apparato produttivo e del welfare”.

In conclusione, il segretario confederale Cgil Ferrari sottolinea che “noi abbiamo già organizzato lo sciopero generale del 29 novembre e non abbiamo alcuna intenzione di fermarci. La nostra mobilitazione proseguirà sia in vista della stagione referendaria della prossima primavera sia per ottenere dal governo e dalle controparti risposte all’altezza delle aspettative di lavoratori, pensionati, giovani e donne, che stanno subendo più di chiunque altro le conseguenze di una crisi sociale che solo la presidente del Consiglio continua a ignorare”.