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La parola dell’anno è “femminicidio”. Questa la scelta dell'Istituto dell'enciclopedia italiana Treccani, nell'ambito della campagna di comunicazione #leparolevalgono, volta a promuovere un uso corretto e consapevole della lingua. Una parola che nel 2023 abbia usato tantissime volte: sono infatti 118 le donne uccise dall'inizio dell'anno, di queste 96 in ambito familiare o affettivo.
Il femminicidio, spiega la Treccani, è “l’uccisione diretta o provocata, eliminazione fisica di una donna in quanto tale, espressione di una cultura plurisecolare maschilista e patriarcale che, penetrata nel senso comune anche attraverso la lingua, ha impresso sulla concezione della donna il marchio di una presunta, e sempre infondata, inferiorità e subordinazione rispetto all'uomo”.
La scelta di nominarla “parola dell’anno”, prosegue l’Istituto, evidenzia “l'urgenza di porre l'attenzione sul fenomeno della violenza di genere, per stimolare la riflessione e promuovere un dibattito costruttivo intorno a un tema che è prima di tutto culturale: un'operazione pensata non solo per comprendere il mondo e la società che ci circondano, ma anche per contribuire a responsabilizzare e sensibilizzare ulteriormente lettori e lettrici su una tematica che inevitabilmente si è posizionata al centro dell'attualità”.
La rilevanza della parola
"Come Osservatorio della lingua italiana - spiega Valeria Della Valle, direttrice scientifica, insieme a Giuseppe Patota, del Vocabolario Treccani - non ci occupiamo della ricorrenza e della frequenza d'uso della parola femminicidio in termini quantitativi, ma della sua rilevanza dal punto di vista socioculturale: quanto è presente nell'uso comune, in che misura ricorre nella stampa e nella saggistica? Nel 2023, purtroppo, la sua presenza si è fatta più rilevante”.
Una presenza che è arrivata a “configurarsi come una sorta di campanello d'allarme che segnala, sul piano linguistico, l'intensità della discriminazione di genere”. Conclude la direttrice Della Valle: “Il termine, perfettamente congruente con i meccanismi che regolano la formazione delle parole in italiano, ha fatto la sua comparsa nella nostra lingua nel 2001, e fu registrato nei Neologismi Treccani del 2008: da allora si è esteso a macchia d'olio quanto il crimine che ne è il referente”.
La parola “femminicidio”, comunque, non è indigena: è un calco dell'inglese feminicide, da confrontare con lo spagnolo feminicidio, coniato dalla criminologa Diana Russel in un suo saggio e ripresa dall'antropologa messicana Marcela Lagarde in un suo scritto del 1993 per indicare i numerosissimi omicidi di donne ai confini tra Messico e Stati Uniti.
Il commento della Cgil
“Utilizzare un termine preciso per chiarire che non si tratta di omicidi come tutti gli altri serve innanzitutto a salvare le donne”, spiega la segretaria confederale Lara Ghiglione: “Se individuiamo le ragioni culturali alla base di questi drammatici eventi, possiamo tentare di prevenirli investendo sulla cultura opposta”.
Una cultura che “con diverse intensità è radicata in ognuno di noi perché non dobbiamo dimenticare che sino a 40 anni fa in Italia esisteva il matrimonio riparatore e lo ius corrigendum che, di fatto, portavano a considerare la donna una proprietà dell'uomo, di cui disporre a proprio piacimento”.
Da allora, conclude la dirigente Cgil, abbiamo “acquisito una maggiore consapevolezza che in parte si è diffusa anche grazie all'utilizzo di un linguaggio corretto. Per questo è necessario non retrocedere neppure su questi aspetti che sono sostanza e non solo forma”.
I casi in Italia
I femminicidi in Italia sono stati finora 118, in calo rispetto al 2022 che si era chiuso con 127 donne uccise. Tra tutti è stato quello di Giulia Cecchettin, avvenuto l'11 novembre scorso, a scuotere di più l'opinione pubblica. La ragazza di 22 anni viene colpita da più di venti coltellate dall'ex fidanzato Filippo Turetta, suo coetaneo, e poi lasciata morire.
Il corpo di Giulia Cecchettin viene trovato sulle sponde del lago di Barcis, in un canalone tra il bacino idrico e Piancavallo, nel territorio di Pordenone. Filippo Turetta viene poi rintracciato alcuni giorni dopo in Germania e arrestato per l'omicidio. Il delitto porta in piazza centinaia di migliaia di persone in occasione della giornata per l'eliminazione della violenza contro le donne.
Ma poche settimane dopo a occupare sulle prime pagine torna un altro caso di femminicidio: quello di Vanessa Ballan, 26 anni, incinta di otto settimane, che viene uccisa dal suo ex (Bujar Fandaj, 41enne di origine kosovare), con otto coltellate al torace sulla porta di casa a Riese Pio X (Treviso). I suoi funerali si celebrano oggi (venerdì 29 dicembre) a Castelfranco Veneto e il presidente della Regione Veneto Zaia ha indetto il lutto regionale.
La prima vittima dell'anno è Giulia Donato, 23 anni, uccisa il 4 gennaio a Genova dal fidanzato Andrea Incorvaia, guardia giurata di 32 anni: l'uomo prima le spara con l'arma regolarmente detenuta per il lavoro e poi si toglie la vita. Una settimana dopo, il 13 gennaio, viene uccisa a colpi di pistola Martina Scialdone, 34 anni: l’assassino è Costantino Bonaiuti, un uomo di 61 anni con cui ha una relazione, il delitto si consuma in strada, precisamente in un ristorante di Roma.
Solo 16 anni: Jessica Malaj viene uccisa in a Torremaggiore (Foggia), mentre fa da scudo alla madre aggredita dal padre. Giulia Tramontano, 29 anni, incinta di sette mesi, viene uccisa a fine maggio con 37 coltellate da Alessandro Impagnatiello, il fidanzato dalla “doppia vita”; l'infermiera Rossella Nappini, 52 anni, massacrata in settembre a Roma con diverse coltellate; Marisa Leo, 39 anni, viene uccisa a Marsala (6 settembre) dall'ex compagno Angelo Reina, che aveva denunciato nel 2020 per stalking.
E poi ancora Anna Elisa Fontana, 48 anni, data alle fiamme dal compagno Onofrio Bronzolino nell'abitazione che i due condividevano sull'isola di Pantelleria (Trapani). Il 14 ottobre a Cerreto d'Esi (Ancona) Concetta Marruocco viene ammazzata dal marito Franco Panariello con 39 coltellate; Annalisa D'Auria, 32 anni, viene uccisa dal marito Agostino Annunziata a Rivoli (Torino) davanti agli occhi della loro figlioletta di tre anni.