Hanane vive a Parma da 12 anni. Suo marito fa qualche lavoretto ogni tanto, anche in nero, ma quello che guadagna non basta a mantenere tutta la famiglia, lei e tre bambini. Così tre anni fa ha fatto domanda all’Emporio solidale, ha presentato l’Isee, sostenuto un colloquio e dopo poco l’hanno accolta come cliente. Qui fa la spesa, frutta, verdura, latte, pasta, pane, ma anche vestiti, giochi, lo zaino e il corredo completo per andare a scuola. “Loro mi danno tutto quello di cui ho bisogno – racconta -, e non fanno distinzione tra italiani e stranieri, trattano tutti allo stesso modo, sono bravissimi. Per me sono la mia famiglia”.
L’emporio solidale di Parma è nato nel 2010, dopo quelli di Roma e Prato, e adesso è il più grande d’Italia: serve 1700 famiglie in difficoltà, a cui se ne aggiungono 240 fuggite dalla guerra in Ucraina. Un modello che si è affermato in tutta la penisola, se ne contano 230 da Nord a Sud, 30 solo in Emilia Romagna, un luogo accogliente, dove chi si trova in una situazione di fragilità può fare liberamente una spesa gratuita, avendo a disposizione una tessera a punti (assegnati in base alla numerosità del nucleo) e scegliendo su una quantità di prodotti limitati ma di qualità.
“I prodotti assumono un valore che non è economico ma di comunità – spiega Daniele D’Alto, direttore del market -. Il 95 per cento è donato dalle grandi aziende del territorio, la restante parte la acquistiamo grazie alle libere donazioni, ai finanziamenti delle fondazioni bancarie, al 5 per mille, alla partecipazione a bandi”. Poi c’è quello che viene recuperato perché arriva dal circuito della lotta allo spreco, un progetto nato e sviluppato all’interno dell’emporio nel corso dell’anno: i volontari si impegnano quotidiana a raccogliere beni freschi, frutta e verdura, che per la loro storia, per l’abbondanza della produzione, per il non utilizzo immediato nella distribuzione, rischierebbe di finire nei rifiuti.
“Dalla grande distribuzione recuperiamo i beni che vengono tolti dal banco frigo perché non più perfetti anche se ancora buoni da mangiare – racconta Giacomo Vezzani, vice presidente dell’associazione Centoperuno che gestisce l’emporio -. Arrivati qui vengono rielaborati, si selezionano e sono messi a disposizione delle famiglie che vengono a fare qui la spesa”.
L’emporio ha seguito lo sviluppo e l’andamento della povertà in Italia: dalla grande crisi finanziaria del 2008, che si è sentita anche in una delle province più ricche della penisola come Parma e ha investito un gran numero di famiglie rimaste nell’ambito dell’aiuto anche in questi anni, alla fase della precarizzazione del lavoro, al Covid, alla guerra. Oggi il 20 per cento degli utenti è rappresentato da madri sole con figli che pur lavorando non riescono con il loro reddito a mantenere l’autonomia economica: il cibo in questo caso è di sostegno alle loro necessità, non è il bisogno primario ma contribuisce al bilancio familiare.
“Qui vediamo quei 5,6 milioni di persone che finiscono nei cluster dell’Istat – prosegue Daniele -, che vengono raccontati a margine delle cronache dei quotidiani, ogni tanto finiscono nei servizi dei telegiornali. È un’umanità che all’emporio trova un’identità”. Il 70 per cento sono stranieri, il 30 per cento italiani, moltissimi disoccupati e lavoratori precari, e poi invalidi ed emarginati. Complice la pandemia, la situazione negli ultimi anni è peggiorata. “C’è uno sviluppo dell’attività economica che sempre di più si precarizza – afferma Tilla Pugnetti, ex sindacalista, una vita trascorsa in Cgil e da quattro anni volontaria -: le persone non solo perdono il lavoro, ma anche quando lo mantengono o lo trovano, è sempre più precario e peggio pagato. Questo si traduce in un’insicurezza economica e sociale”.
Per accompagnare e sostenere gli utenti, l’emporio solidale ha messo in campo anche un nuovo servizio, lo sportello lavoro. “Questo è il nostro grande sogno – dice Maurizio De Vitis, presidente di Centoperuno -. Grazie alla collaborazione di esperti e di un’agenzia per il lavoro, stiamo cercando di individuare utenti che hanno delle caratteristiche per seguire corsi mirati utili per poi avere una collocazione. Partiremo a settembre con un gruppo di persone che si impegna per ottenere questo obiettivo”.
Perché all’emporio il desiderio di tutti è che le famiglie tornino a essere autonome: dopo aver ricevuto aiuto e sostegno riescano a riacquistare la libertà. “Quando siamo nati, nel 2010, speravo che i numeri rimanessero contenuti – confessa Daniele -. E che gli utenti potessero migliorare le loro condizioni. Invece non è così e da questo punto di vista ne usciamo sconfitti. E quando incontro una persona che ce l’ha fatta, che ha trovato un lavoro e non deve più dipendere da noi, ecco, quello è il momento più bello ed emozionante”.