Il governo presenterà ufficialmente le sue proposte “anticrisi” nella riunione di lunedì 24 novembre. L’appuntamento è per le 19, a fine giornata, quasi in contemporanea con i principali telegiornali. Invitati: i rappresentanti di una quarantina di associazioni sindacali e imprenditoriali. Più che un tavolo di concertazione, la scena si presenta però come una tavolata dove a parlare sarà esclusivamente l’oste. Ai convitati verrà chiesto un gradimento veloce del menù. Evidentemente parole come “concertazione”, “dialogo sociale”, “triangolazione” sono diventate obsolete, mentre il modello di relazioni sindacali e industriali classico è stato scomposto e superato senza che al vecchio sia stato mai sostituito il nuovo. La democrazia economica e più in generale la democrazia dei rapporti sociali sono in standby. Dopo l’incontro, il governo marcerà spedito verso i suoi provvedimenti già decisi. Inizialmente la riunione del Consiglio dei ministri era prevista per mercoledì 26 novembre. Poi si è saputo che l’Unione europea avrebbe presentato a metà settimana la sua ricetta anticrisi e allora la riunione a Palazzo Chigi è stata spostata a venerdì 28. Per quel giorno il varo.


400 mila precari a rischio

Se questo è il metodo, il merito delle proposte del governo appare ugualmente ingessato. I ministri di Berlusconi lo hanno ripetuto in più occasioni: l’Italia non può permettersi politiche espansive, né di essere troppo fantasiosa, visto che abbiamo un debito pubblico tra i più alti e siamo sempre sotto il ricatto del pagamento degli interessi sui titoli pubblici (nessuno che ricordi come mai siamo a questo punto: c’entra per caso qualcosa la “Milano da bere” dove si era fatto le ossa il cavalier Berlusconi?). I margini – ripete oggi il superministro dell’economia Giulio Tremonti, che pare sia ormai l’unico politico che goda di una certa considerazione nello stato estero del Vaticano – sono dunque strettissimi. La coperta era corta e ora è cortissima, quindi niente operazione tredicesime, niente riforma ed estensione degli ammortizzatori sociali, niente restituzione del fiscal drag, niente assunzioni dei precari. E soprattutto nessuna idea a proposito di politiche industriali innovative, le uniche che potrebbero davvero spingere il paese nei prossimi anni. Tutto è rimandato a tempi migliori. Ma i tempi migliori non si intravedono nelle previsioni meteorologiche. Siamo al contrario alla vigilia di quella che il segretario generale della Cgil, Guglielmo Epifani, ha definito una “valanga”. C’è comunque da registrare – a onor di cronaca – la settimanale dichiarazione di Silvio Berlusconi, che sui quotidiani di domenica 23 ha finalmente ammesso che siamo in presenza di una crisi pesante e che bisognerà in qualche modo correre ai ripari. Dagli uffici ministeriali fanno sapere che sono disposti a elargire qualche soldo in più per la cassa integrazione, viste le notizie preoccupanti che arrivano da tutti i principali distretti industriali.

Eppure, nonostante le ammissioni dell’ultima ora, le misure per fronteggiare la crisi appaiono ancora insufficienti, datate e forse anche fuori tempo. Si pensa a un intervento con un bonus per le famiglie più povere e si introdurranno agevolazioni fiscali che andranno solo a vantaggio di una parte delle imprese (neppure di tutte) e favoriranno i ceti sociali che rappresentano la base elettorale del governo Berlusconi. I soliti noti. Come ha detto il responsabile economico della Cgil, Beniamino Lapadula, se si inquadrano le proposte del premier nella situazione generale di crisi, fanno quasi “tenerezza”, anche se è evidente che non si tratta certo di ingenuità. Si tratta piuttosto di una miopia politica, una strada scelta tra diverse opzioni.

Invece di agevolare la gran parte dei lavoratori come aveva proposto la Cgil e invece di pensare a un grande piano per uscire da una crisi di cui sono visti solo i primi effetti, Tremonti si muove tra piccolo cabotaggio e interventismo paternalista. Si pensa a una incentivazione dei consumi una tantum, ovvero a una piccola boccata di ossigeno per i giorni di Natale. Dopo la social card, ora si stanziano infatti dei soldi per poter offrire sotto l’albero alle famiglie più povere (sotto i 20 mila euro) un bonus che varierà tra i 150 e i 700 euro. Nel piccolo cabotaggio ci saranno anche gli sconti sulle bollette dell’elettricità e il gas (tra l’altro dovute vista la flessione del prezzo del petrolio), mentre il ministro Tremonti si è reso conto di essersi troppo allargato inizialmente con la social card. Conclusione anche per una misura che era stata giudicata “offensiva” da molte organizzazioni sociali, sarà ristretta il più possibile l’area dei beneficiari. Il grosso della manovra sarà comunque destinato alle imprese con i tagli sugli acconti fiscali. E ovviamente il grosso dell’aiuto, il vero segno della manovra consisterà nel sostegno alla banche.

Sarà agevole già dalla serata del 24 mettere a confronto le proposte del governo con quelle dei sindacati e in particolare con il piano anticrisi della Cgil (vedi il piano integrale). La Cgil infatti aveva proposto in particolare sei misure, la prima delle quali riguardava il sostegno all’occupazione (incremento della dotazione del Fondo per gli ammortizzatori sociali, estensione a tutti i lavoratori che attualmente non ne hanno diritto come i precari, previsione di un meccanismo certo per il reintegro del Fondo in caso di mancata copertura relativa all’aumento degli stati di crisi). Riguardo le risorse destinate alla detassazione degli straordinari, la Cgil ritiene che occorrerebbe utilizzarle (sono pari a circa 1 miliardo di euro) a sostegno dell’occupazione e a favore di chi non ha gli ammortizzatori sociali. Il sindacato chiede anche incentivi di natura fiscale, ossia un intervento “fondato su sgravi o credito d’imposta ulteriori, rispetto a quanto già previsto dalle Finanziarie 2007 e 2008, per l’assunzione a tempo pieno e indeterminato, con maggiorazioni per favorire l’assunzione delle donne e dei giovani, con particolare attenzione al Mezzogiorno”.

La Cgil ha chiesto poi altre misure riguardanti cinque ambiti specifici: il sostegno al reddito, il sostegno agli investimenti e alla politica industriale, gli investimenti pubblici (in particolare si chiede di avviare investimenti infrastrutturali immediatamente cantierabili) e infine, la quinta misura, sul Welfare e il rafforzamento della coesione sociale. Per la Cgil, infatti, occorrerebbe, anzitutto, dare un sostegno al reddito delle famiglie e dei giovani inoccupati e benefici per i lavoratori addetti a mansioni faticose e usuranti. Riguardo al Welfare, la Cgil chiede un piano straordinario per ampliare i servizi per l’infanzia e per la non autosufficienza degli anziani. Servirebbero poi misure per rafforzare il controllo circa l’effettiva volontarietà delle dimissioni, contrastando “la pratica delle ‘dimissioni in bianco’” e di avviare un programma straordinario che preveda l’utilizzo delle caserme dimesse per residenze temporanee per lavoratori immigrati e studenti.

E invece negli uffici del governo circolano solo incerte proposte (spesso contraddittorie) sui precari. Per bilanciare la manovra quasi tutta protesa appunto verso le imprese (ma senza una vera politica industriale), il governo aveva pensato inizialmente a una sorta di “sanatoria” con le assunzioni a tempo indeterminato. Perfino Brunetta, tra una sfuriata e l’altra contro la sinistra “fannullona”, si era sbilanciato in tal senso. Poi ci si è resi conto che sarebbe costata troppo e si è rimandato tutto al 2009. “I precari attuali, non quelli che diventeranno tali nel prossimo anno, sono ancora completamente a rischio”, conferma il segretario confederale della Cgil, Fulvio Fammoni, secondo il quale in una situazione del genere e in assenza di novità sostanziali, tutte le ragioni dello sciopero generale sono per ora confermate. Un’opinione condivisa anche dalla segretaria confederale, Susanna Camusso e dalla segretaria dello Spi, Carla Cantone, secondo la quale – stando alle anticipazioni – non ci siamo proprio. Siamo ancora fermi allo schema della social card, salvo qualche soldo in più per le deroghe alla cassa integrazione. Non ci resta dunque che attendere. Per leggere il menù finale del ristorante di palazzo Chigi, mentre da oltreoceano Obama promette di impegnarsi – guarda caso – proprio sul lavoro. O, più precisamente, sulla creazione di nuovi posti di lavoro.