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Non è solo questione di dignità del lavoro e di sicurezza, è questione di democrazia. Occorre partire da questa convinzione per mettere in campo le politiche e le azioni che servono a contrastare i fenomeni di illegalità illustrati dall’ultimo rapporto dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro. Il Report, quello che esamina i dati del 2020, racconta di una grande varietà di reati prodotti nella nostra rete di imprese: “Lavoro nero e irregolare, forme di evasione fiscale e truffe contributive, gravi violazioni in materia di salute e sicurezza”.
Violazioni e reati “vecchi” come il caporalato o il lavoro nero e quelli più “moderni” come le illecite esternalizzazioni o il “necessario” riciclaggio di fondi accumulati in nero, fino ai distacchi transnazionali di pezzi di azienda”. A rimetterci comunque sempre lavoratori e lavoratrici, e la società tutta. Ma anche quella parte di imprenditori onesti che subiscono una concorrenza sleale da parte di chi onesto non è.
Oltre a edilizia, 67% di irregolarità rilevate sulle ispezioni compiute, e agricoltura (57,9%), le irregolarità più rilevanti si trovano nel terziario, in particolare nei servizi di alloggio e ristorazione (73,74%). E poi in quelli – e il fenomeno è assai preoccupante – di supporto alle imprese (72,31%). Ovviamente non possono mancare logistica, trasporto e magazzinaggio (71%), o le attività artistiche, sportive e di intrattenimento (69,74%). Due considerazioni, la prima è che se questi sono i fenomeni perché stupirsi se ragazzi e ragazze non rispondono positivamente ad offerte di lavoro che invece nascondo forme di sfruttamento e illegalità? E poi il Rapporto conferma che “le irregolarità nei settori che portano servizi alle imprese, sono riconducibili, quasi sempre, a forme illecite di esternalizzazione e interposizione di lavoro”.
Anche in questo caso, qualche interrogativo imprenditori e politici che si scagliano contro il Reddito di cittadinanza dovrebbero porselo. Ma il dato che sconcerta di più, probabilmente, è che qualunque sia il settore o il codice Ateco delle aziende, la percentuale di irregolarità rilevata non scende mai sotto il 50%. Certo, si potrebbe dire, se vengono fatte le ispezioni. Considerazione non fino in fondo corretta, non tutte le verifiche, infatti vengono realizzate sulla base di segnalazioni o denunce di organizzazioni sindacali o di lavoratori, nel 2020 sono state 27 mila, vi sono anche quelle “preventive” disposte direttamente dall’Inl eppure le percentuali non cambiano.
Una riflessione che sarebbe bene venisse fatta, tanto più in vista degli investimenti e dei lavori in arrivo grazie alle risorse europee del Next Generation Eu riguarda le "illecite esternalizzazioni e interposizioni di mano d'opera" in materia di appalti. Il maggior numero di illeciti è stato rilevato nei seguenti ambiti produttivi: Noleggi e servizi di supporto alle imprese, Trasporto e magazzinaggio, Attività manifatturiere, Costruzioni, Servizi, alloggio e ristorazione.
L’altro dato che dovrebbe far suonare un campanello d’allarme è l’altissima adesione alla “conciliazione monocratica” delle aziende colpite da ispezione e trovate “irregolari”: il 96%. Insomma sono fuori dalle regole, lo sanno, confidano nella scarsità dei controlli, quando vengono scovati accettano le sanzioni senza nemmeno provare a giustificarsi o a contrastarle.
E poi tutta Italia è Paese. E già perché questo modo illegale di fare impresa è diffuso in egual modo dalle Alpi alla Sicilia. Lombardia, Emilia Romagna, Toscana, Lazio, Puglia sono le regioni che hanno ricevuto più denunce e quindi trovato più irregolarità. E i lavoratori e le lavoratrici vittime di illiceità sono oltre 62mila.
Nel ragionare su numeri e cose, è bene ricordare che solo lo scorso anno hanno lasciato i ruoli ben 348 ispettori, ne mancano così, 1164 per raggiungere l’organico del 2017. Già falcidiato da tagli e blocco del turn over.