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“La 194 è un terreno minato”. Il racconto che ascoltiamo al telefono da un medico marchigiano, non obiettore riguardo all'aborto, con vent’anni di esperienza sulle spalle, ci colpisce come un pugno nello stomaco. Perché un conto è leggere le cifre e le dichiarazioni politiche, un conto è sentire dalla sua voce episodi di vita vissuta. La 194 è una conquista, abbiamo sempre pensato e sostenuto. E invece no. Per chi lavora, possiamo dirlo, in completa solitudine, in mezzo a decine di medici, ostetriche, infermieri e operatori sanitari orgogliosamente e ostinatamente inflessibili obiettori, per chi lavora con colleghi che, oltre ogni ragionevole empatia verso una donna ricoverata che aspetta o è reduce da un intervento anche psicologicamente devastante, la 194 assomiglia a un terreno minato, evoca uno scenario di guerra, simile a quella terra di nessuno sulla quale, per chi ha il coraggio di calpestarla, c’è il rischio a ogni passo di saltare in aria. A riprova di questo, neanche a dirlo, il nome del nostro interlocutore resterà per chi legge un mistero, come le strutture in cui ha lavorato. Dopo un quarto d’ora di colloquio telefonico non facciamo fatica a dare un senso a quei numeri denunciati, da pochissimo, dalla Cgil regionale, sulla difficoltà di abortire nelle Marche (come in gran parte del Paese).
Solo il 6 per cento delle interruzioni volontarie di gravidanza avviene con metodo farmacologico. Quasi una donna su dieci deve andare fuori regione per abortire. I medici obiettori rappresentano il 70 per cento dei ginecologi ospedalieri e il 30 per cento di quelli dei consultori familiari, come ci ripete in questo video la segretaria generale della Cgil regionale, Daniela Barbaresi.
(Video a cura di Federica Buroni, ufficio stampa Cgil Marche)
“Quando iniziai a lavorare in ospedale, vent’anni fa – ci racconta il nostro testimone – si facevano anche dieci, dodici interruzioni ogni settimana: avevamo la sala operatoria dedicata per un'intera mattinata. Poi, con il passare degli anni, la disponibilità è andata diminuendo. Negli ultimi tempi la situazione è degenerata, erano tutti obiettori, si lavorava in uno, due al massimo, la sala operatoria era sempre più inaccessibile. Morale della favola, adesso in quella struttura so che riescono a praticare 4, massimo 5 interruzioni di gravidanza, due volte al mese”. Il conto non è difficile: siamo passati da una media di 40, 50 al mese, nei primi anni del nuovo secolo, a una media di 8, 10 al massimo, al giorno d’oggi.
“Quando ho iniziato, su 10, 11 medici, 4 erano non obiettori. Ed era un buon numero. Adesso sono praticamente tutti obiettori. La legge 194 è un terreno minato”. Gli chiedo perché, mi risponde amaro che è difficile saperlo per certo. “Un progetto politico, pressioni forti, non lo so, forse c’è un po’ di tutto. Altrimenti adesso, in pieno terzo millennio, il sesso non sarebbe ancora un mistero. Mi capita di confrontarmi con ragazze e giovani donne che non conoscono il proprio corpo, non sanno nulla di ovulazione, tanto per dirne una. Perché non se ne parla né a scuola né a casa e gli ambulatori dedicati non sono molto frequentati”.
Gli chiediamo dell’aborto farmacologico, finito nel mirino dei contrari. Sentiamo un sorriso demoralizzato al telefono. “Sulla pillola ru486 nelle Marche c’è una sperimentazione in atto che impone, di fatto, una procedura che dilata i tempi. Mi metto dalla parte della ragazza, che viene qui e scopre di dover andare a destra e a sinistra prima di poter fare questo aborto. L’ultimo caso mi è capitato giusto questa mattina: è venuta una ragazza certificata da un collega di un ospedale qui in regione, quindi non obiettore. È venuta da me per essere messa in nota perché nella prima struttura non c’era più posto. Ma poiché aveva ancora sei settimane di tempo per poter fare l’interruzione, è possibile che lì non avessero più posto? Cosa devo pensare? La realtà è che ne fanno pochissime. Parliamo di disfunzioni nel sistema sanitario? Mettiamoci anche la 194. La categoria tende a vederla sempre dalla parte degli interessi degli operatori, in realtà dovremmo mettere l’utente in condizioni ottimali per poter fare quello che deve fare. Già è un peso psicologico da sopportare - e oggi con la crisi economica in atto è possibile pensare che i numeri aumenteranno - non può funzionare così”.
Con tutti questi obiettori chi clima trovano le pazienti? “Verso chi sceglie l’interruzione entro il 90esimo giorno di solito il clima non è ostile, ma qualche volta mi è successo invece che fosse ostile verso le donne sottoposte ad aborto terapeutico, oltre il 90 esimo giorno. Tante volte ho trovato un vero e proprio ostracismo da parte dei colleghi. O mi sono trovato a combattere con il personale riluttante o non troppo collaborativo. Con il mio vecchio primario siamo arrivati a escogitare un metodo per far fronte al dilagare dell’obiezione di coscienza: nel corso dell'intervento chiedevamo alla paziente di fare una determinata operazione che, normalmente, avrebbe dovuto compiere l’ostetrica. Ma il clima è comunque difficile. Del resto, nonostante un articolo della legge stabilisca che l’obiettore, pur non partecipando a quelle che sono le procedure per l’interruzione di gravidanza, non si può astenere dall’antecedente e dal susseguente, io ricordo, già vent’anni fa, certe infermiere che non andavano nemmeno a prendere la pressione alle pazienti ricoverate per aborto. Prendere la pressione, capisce? Un aspetto clinico che niente ha a che vedere con l’interruzione di gravidanza. Oggi, almeno sotto questo punto di vista, il clima è migliorato”.
La pausa è finita. Il medico ci saluta, deve tornare al lavoro. Non lo tratteniamo. I suoi turni sono preziosi. La prossima donna che volesse abortire, se non dovesse trovarlo, chissà quanta strada dovrebbe percorrere e alla porta di quante altre strutture dovrebbe bussare prima di poter esercitare quello che sarebbe un suo diritto.