Ritardi di un anno nella realizzazione ed extracosti che potranno toccare i 300 milioni di euro, oltre alla cifra iniziale di 1,3 miliardi. Sono alcuni dei risvolti problematici della costruzione della diga del porto di Genova, la più profonda al mondo, l’opera più costosa del Pnrr (500 milioni dal fondo complementare del Piano finanziato con risorse nazionali) la cui realizzazione, al largo di quella attuale, è stata motivata dai decisori con lo scopo di proteggere il porto dal moto ondoso e di aumentare il transito in sicurezza di navi commerciali di grandissime dimensioni, rendendo lo scalo portuale genovese più competitivo.

Molte sono le critiche avanzate a quest’opera, coinvolta anche da alcune inchieste sul mondo politico genovese, per il suo possibile impatto ambientale dovuto anche alle sue dimensioni, i cui numeri non possono che impressionare, come quelli dei cassoni in calcestruzzo depositati in mare che misurano sino a 30 metri di larghezza, 67 di lunghezza e 33 metri di altezza, un muro lungo quasi 6 chilometri.

Ci sono poi le implicazioni occupazionali, delle quali, nel suo ruolo, si occupa la Cgil genovese, anche per la presenza di appalti e subappalti con imprese non tutte italiane.

Igor Magni, segretario generale della Camera del lavoro di Genova, nel podcast spiega l’intreccio tra le criticità della costruzione della diga, sollevando una serie di questini di rilievo: dall’assenza di un piano regolatore del porto, che avrebbe dovuto essere propedeutico all’opera, al non avere affrontato uno studio di fattibilità, alla gestione politica che ha lasciato spazio all’improvvisazione in presenza di tempi strettissimi.