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Le proteste dei lavoratori della sanità, quelle di questa mattina in Umbria, quelle organizzate per domani in Calabria, quelle messe in atto in molti altri territori nelle ultime settimane, “sono le rivendicazioni della Cgil confederale”. A ribadirlo, Rossana Dettori, segretaria nazionale del sindacato di Corso d’Italia, che sottolinea l’esigenza di non sprecare questa fase di ripartenza e la possibilità di imprimere quella svolta chiesta dai lavoratori. Sullo sfondo l’occasione del mes, 37 miliardi di euro di Fondo Salva-Stati che potrebbero rappresentare un investimento decisivo per trasformare la sanità in un volano di sviluppo con il quale rispondere alla crisi.
Potenziamento e riorganizzazione dei servizi sono un tratto distintivo della linea espressa dalla confederazione che, a differenza di quello che sta succedendo in molte regioni, non dimentica lo sforzo incredibile di “tutto il personale sanitario, dai medici agli infermieri, ai tecnici, ai lavoratori degli appalti, anche quelli che non dipendono direttamente dalla sanità. Persone che non hanno bisogno di essere definite eroi perché svolgono quotidianamente il loro lavoro come hanno sempre fatto, reggendo un urto incredibile. Da eroi vorrebbero tornare ad essere considerati lavoratori, riconosciuti come tali, con tutti i diritti che gli spetterebbero e che spesso gli sono negati: il contratto nazionale, giuste retribuzioni, orario di lavoro, ferie, riposi. Elementi per tre mesi totalmente bloccati”. Per Rossana Dettori, gli operatori del settore, “oltre a un gettone di gratificazione, hanno bisogno di un riconoscimento vero della loro professionalità. Questa è la battaglia: tenere insieme il diritto degli operatori ad esercitare con dignità il loro lavoro e il diritto dei cittadini ad avere un servizio sanitario che funzioni. Anche loro, con il covid, hanno pagato un prezzo altissimo, sia in termini di qualità della vita, sia in termini di vita stessa, e hanno dovuto rinunciare a prestazioni sanitarie cancellate dall’emergenza del virus”.
C’è il rischio che in alcune regioni si usi il covid per privatizzare sempre di più quote di servizi? Rossana Dettori ci risponde con un esempio: “la cosa resa evidente dal caso Lombardia è che lì hanno sacrificato completamente tutti i servizi territoriali per investire quasi esclusivamente negli ospedali e in quelli che loro definiscono eccellenze. Avendo dovuto chiudere gran parte dei servizi – attuando una sorta di lockdown sanitario – hanno lasciato i cittadini senza prestazioni, regalando al privato la possibilità di essere l’unico a erogare questi servizi al posto del pubblico. Una condizione che con la riapertura si è aggravata perché, laddove non c’è medicina del territorio, ambulatori, presidi e prevenzione, la ripartenza stenta e aumenta la difficoltà dei cittadini ad accedere ai servizi: dai centri prelievi alle visite specialistiche, è stato tutto bloccato, determinando un allungamento abnorme delle liste di attesa. In Umbria poi, come sappiamo, le donne hanno pagato un prezzo ulteriore in termini di diritti e c’è qualcuno che ha approfittato di questa fase per contrastare il diritto alla maternità consapevole”. In poche parole l’emergenza sanitaria, soprattutto nelle regioni governate dalla destra, è stata utilizzata come un ariete, nel tentativo di sfondare argini faticosamente costruiti a difesa dei diritti.
C’è la possibilità di dare una svolta? “La grande opportunità – risponde Rossana Dettori, sottolineando che la Cgil lo ha più volte ribadito al ministro della salute – è rappresentata dal mes, il Fondo Salva-Stati. Le risorse di cui si parla per il servizio sanitario nazionale si aggirano intorno ai 35-37 miliardi di euro e sarebbero essenziali per rilanciare il settore complessivamente, fare grandi opere di edilizia connesse all’esigenza di ristrutturare gli ospedali e, dove non fosse possibile, costruirne di nuovi, abbattendo quelli vecchi. Ma soprattutto con quei soldi potresti ricostituire il sistema di servizi sul territorio. Con l’effetto di creare occupazione in edilizia – il ministro su questa voce aveva già postato due miliardi di euro – e nella sanità. Anche così si può rispondere alla crisi”.