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Violano i diritti umani, hanno costi astronomici, sono un disastro per le finanze pubbliche e per via della gestione caotica. I Cpr, centri di permanenza per il rimpatrio, dove uno straniero senza permesso di soggiorno può restare recluso fino a 18 mesi prima di essere espulso e rimpatriato, sono sempre di più un modello di disumanità e di gestione fallimentare. La denuncia è contenuta nel rapporto “Trattenuti 2024. Una radiografia del sistema detentivo per stranieri” di ActionAid e del dipartimento di scienze politiche dell’università di Bari, che ricostruisce il sistema di detenzione per il rimpatrio tra il 2014 e il 2023, con dati raccolti grazie a 97 richieste di accesso agli atti e 53 di riesame.
I costi
Partiamo dai costi, che sono astronomici. 39 milioni di euro è la spesa che lo Stato ha dovuto affrontare nel 2022-2023 per l’intero sistema. Una cifra che è cresciuta a dismisura, se si considera che nel quadriennio 2018-2021 era di 53 milioni. Il costo medio annuo di un posto raggiunge quasi 29 mila euro, a cui vanno aggiunte le cosiddette spese accessorie.
A Macomer (Nuoro), per esempio, costa di più garantire il vitto e alloggio delle forze dell’ordine a presidio del Cpr che gestirlo: 5 milioni 800 mila euro nel 2020-2023 che, sommati a quanto speso per la sola struttura, portano il costo medio di un posto a superare i 52 mila euro nel 2023.
Manutenzione troppo straordinaria
Poi c’è la manutenzione dei centri: oltre 33 milioni spesi tra il 2018 e il 2023, di cui oltre il 76 per cento usato per interventi straordinari, cioè ristrutturazioni dovute a danneggiamenti. A conferma che il prolungamento dei tempi di trattenimento comporta solo la crescita delle spese.
“Questo è un indicatore delle condizioni di vita interne ai Cpr, che non sono dignitose – afferma Fabrizio Coresi, esperto di migrazioni per ActionAid e curatore del report -. Le persone che sono recluse senza aver commesso alcun reato, sono portate a compiere atti di autolesionismo e alla rivolta, provocati dalle condizioni di estremo disagio e dalla privazione dei diritti basilari. Negli ultimi due anni la situazione è anche peggiorata. Danni e distruzioni che rendono indisponibili gran parte dei posti e a cui si risponde con opere straordinarie”.
Nel 2018, 33 giorni di permanenza media in un Cpr corrispondono quasi 1,3 milioni di euro per costi di manutenzione straordinaria; nel 2022, a fronte di 40 giorni di permanenza, i costi sono balzati a 9,6 milioni.
Sistema fallimentare
Cifre spese per un sistema che è disumano e che per di più si è dimostrato fallimentare. Queste strutture hanno la missione di rimpatriare le persone recluse, ma ne rispediscono a casa molto poche: nel 2023 il 10 per cento degli stranieri colpiti da un provvedimento di espulsione, ovvero 2.987 su 28.347.
Eppure, questi centri di detenzione vengono spacciati come una soluzione per aumentare il numero dei rimpatri, sebbene i dati dicano l’esatto contrario: dal 2017 si rimpatria meno, a costi più alti e in maniera sempre più coercitiva.
“Questo dimostra che il vero obiettivo dei Cpr non è rimpatriare le persone – riprende Coresi -, ma data la loro inefficacia, assimilarle ai criminali. Siamo di fronte a un sistema che esiste dal 1998, che è sempre stata un fallimento e che non è mai stato cambiato”. Anzi, si cerca di potenziarlo, investendo su un modello che addirittura delocalizza in Paesi extra europei.
L’hub siciliano
Stiamo parlando dei nuovi Ctra, centri di trattenimento per richiedenti asilo sottoposti a procedure di frontiera, sistema creato con il decreto Cutro. Oltre a quelli in Albania, in terra italica ci sono quelli di Modica inaugurato nel 2023 (1 milione 650mila euro spesi), Porto Empedocle (Agrigento) sorto nel 2024. Altri due entro fine anno, ad Augusta (Catania) e Trapani: 16 milioni di euro sul bilancio 2024 del ministero della Difesa.
In questo modo la Sicilia è diventato il nuovo hub per il trattenimento leggero. E proprio dai Cpr siciliani parte il 54 per cento dei rimpatri nazionali, l’85 dei quali di soli cittadini tunisini: il sistema nei fatti trattiene persone in frontiera, in particolare in Sicilia, e si fonda sul solo accordo bilaterale con la Tunisia. I tunisini però nel 2023 sono stati meno dell’11 per cento degli arrivi complessivi in Italia.
Gestione disastrosa
Anche sul fronte della gestione, i Cpr sono un disastro. “Cooperative e soggetti for profit, tra i quali anche una multinazionale, conducono le strutture detentive tra confusione amministrativa e mancanza di trasparenza – conclude Coresi di ActionAid - . Questi enti producono un guadagno non erogando quanto previsto dal contratto e facendo leva sui mancati controlli delle prefetture. Anche per questo, visti i monitoraggi come il nostro, sono sempre meno i soggetti disposti a gestire questi luoghi, che spesso si alleano con i propri concorrenti per vincere le gare”.