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Non si placano le polemiche sulle ultime vicende che hanno costretto i lombardi a una settimana in più di restrizioni da zona rossa. Sulla questione interviene anche Gianni Peracchi, segretario generale della Cgil di Bergamo, ricostruendo mesi difficilissimi, nei quali la Regione Lombardia, secondo il sindacalista, non è esente da colpe.
"Non se ne può più… Sul rosso, inteso come colore che indica una serie di restrizioni per un determinato territorio in caso di emergenza, la Lombardia ha inciampato più di una volta”, ha detto, intervenendo sulla questione, Ci sarebbe quasi da ridere, se non fosse che queste vicende hanno pesato e pesano drammaticamente nella vita delle persone”.
Il leader del sindacato provinciale ricorda, con amarezza, considerando il prezzo altissimo pagato da Bergamo alla pandemia, come il primo inciampo sia da considerare quello del 23 febbraio 2020, quando i medici dell’ospedale di Alzano si accorsero della presenza di due casi di Covid e, sulla scorta di quanto successo a Codogno, chiusero il pronto soccorso. Come in zona rossa. Peccato che, dopo poche ore, da Regione Lombardia arrivò un “contrordine, compagni. L’ospedale va riaperto e la zona rossa sbiadisce”.
E siamo al secondo inciampo, pochi giorni dopo, continua la ricostruzione di Gianni Peracchi. “Alla luce dell’esplosione dei contagi, in molti chiedono di perimetrare in zona rossa la media valle Seriana, ma la Regione dice che non è di sua competenza, cosa non vera all’epoca dei fatti, rimpalla le responsabilità sul Governo nazionale e non decide. Il risultato finale è un ritardo pesantissimo prima di passare in zona arancione e poi in rossa tutta la regione. Più avanti, il dirigente che sembra aver dato disposizione per la riapertura del pronto soccorso di Alzano viene spostato ad altro incarico”.
Il ragionamento del segretario della Cgil bergamasca continua, soprassedendo sulla mancanza di chiarezza e di trasparenza dei numeri, almeno nella prima fase della pandemia, sulla tristissima vicenda delle R.S.A., sui camici delle aziende di parenti, sulla parodia dei vaccini e delle ferie dei medici. “Soprassediamo – scrive – anche sul dimissionamento dell’assessore regionale alla Sanità e sui vaccini al pil di chi gli è succeduto e arriviamo ai nostri giorni. La zona rossa in questo caso, il cui avvento Fontana aveva preannunciato senza battere ciglio, prima della decisione del ministero, arriva sulla base dei dati inviati a livello centrale dagli uffici di Regione Lombardia. Ricordo che i criteri, per quanto opinabili, del calcolo del Rt, e degli altri parametri che collocano in automatico le regioni nelle fasce di classificazione dell’I.S.S. sono frutto di un accordo tra Stato e Regioni. Ma appena il Governo decide la zona rossa apriti cielo con tanto di ricorso al TAR”.
In effetti si scopre che i parametri corretti avrebbero consentito alla Lombardia di non entrare in questa classificazione. “Peccato che ciò sia successo, nonostante le goffe e arroganti smentite di Fontana e Moratti, perché i dati inviati al ministero ai fini della classificazione erano errati o quanto meno parziali (sovrastima del numero dei contagiati). Tant’è che la riclassificazione in zona arancione avviene solo dopo una rettifica di Regione Lombardia dei dati forniti da Regione Lombardia. Il risultato è che abbiamo avuto, quando non era necessario, una settimana aggiuntiva di restrizioni più stringenti con le conseguenze economiche che ne sono derivate. E, purtroppo – chiude al sua riflessione Gianni Peracchi – una parte della propaganda politica e dei media, dopo aver tuonato contro il Governo ora sembrano ripiegare, come ha asserito candidamente Fontana, su un ecumenico non è colpa di nessuno”.