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Le previsioni sull’andamento futuro della popolazione residente in Italia si confermano in drastica diminuzione. Istat nel suo scenario mediano prevede un ulteriore calo dei residenti di circa 900 mila unità al 2030 (da 59 milioni a 58,1).
L’inverno demografico
L’inverno demografico prende poi la forma di una vera e propria slavina nelle previsioni di più lungo periodo (54,4 milioni residenti nel 2050 fino a 45,8 milioni nel 2080); cioè in meno di 60 anni si prevede un calo di 13 milioni di persone.
È come se gran parte dell’attuale Italia scomparisse dalla cartina geografica, di cui oltre il 60 per cento nel Mezzogiorno, trasformandoci contemporaneamente in un paese piccolo e per fortuna con una elevata media di età, altrimenti il calo risulterebbe ancor più drammatico.
Le previsioni al 2050
Esaminando le previsioni nel medio periodo (2050) si evidenziano alcuni principali fattori:
- l’età media si alza di 4,5 anni (fino a 50,7 anni) e quindi gli ultra 65enni diventerebbero il 34,5 per cento dell’intera popolazione;
- le differenze territoriali aumenterebbero in modo esponenziale, il calo nel mezzogiorno risulterebbe di 3,6 milioni di residenti contro il calo totale di 4,6 milioni;
- il calo delle persone in età da lavoro; il rapporto fra le persone in età lavorativa (15/64 anni) e le altre fasce di età passerebbe dall’attuale 3 a 2 a poco più di 1 a 1; è un dato eclatante: in questo caso la diminuzione delle nascite e l’aumento dell’età si combina fino ad arrivare a una diminuzione, nel 2050, di 8 milioni di persone in età da lavoro. Un andamento che dovrà far rileggere anche le statistiche sull’occupazione, ad esempio la percentuale futura del tasso di occupazione sarà solo in parte determinata dall’andamento degli occupati, ma in modo via via crescente dalla contrazione della popolazione in età lavorativa. Il tasso di occupazione – infatti – sta già in parte crescendo anche solo per questo.
Un Paese che avvizzisce
Tutte le previsioni sono allarmanti. Le date appaiono lontane ma senza interventi specifici e urgenti si prospetta un futuro insostenibile. Quello di un Paese che avvizzisce, non più in grado di garantire sviluppo e produzioni adeguate, di avere le risorse per garantire il sistema pubblico di welfare peraltro in gran parte da riprogettare per l’aumento dell’età delle persone.
La causa principale di questo declino demografico è legata al calo delle nascite, tema su cui da anni si discute senza vere scelte concrete. Si tratta di intervenire su un problema che attiene comunque a una libera scelta e che con l’aggravarsi degli scenari economici, sociali e da ultimo con la pandemia e la guerra sta assumendo picchi particolarmente negativi.
Agire a favore della natalità
Servono quindi azioni a favore della natalità, ma da sole non basteranno senza ricreare una più generale fiducia nel futuro. In ogni caso i tempi di efficacia, anche se gli interventi fossero finalmente concreti, non sono oggettivamente veloci. Occorre quindi contemporaneamente analizzare e operare su alcune delle altre cause di questo declino.
In troppi emigrano dall’Italia
Le emigrazioni dall’Italia restano molto alte, particolarmente di cittadini italiani (si stimano in oltre 8 milioni al 2080) e i dati degli uffici immigrazione di altri Paesi attualmente attestano un fenomeno più ampio rispetto a quello che i dati ufficiali riportano. È bene ricordare che la maggior parte delle persone costrette a emigrare sono giovani con buona scolarità e professionalità medio alte. Arginare del 50 per cento questo fenomeno porterebbe, sempre nel 2050, a mantenere in Italia circa 1,5 milioni di residenti in più, abbassando di circa un terzo il calo stimato.
Perché questo avvenga è necessario cambiare le politiche salariali, produttive, del mercato del lavoro e socio abitative. Sono note e precise le proposte della Cgil su tutti questi aspetti, ma riuscire a farlo renderebbe in generale l’Italia più attrattiva, facilitando anche il rientro di tanti cittadini già emigrati.
Cambiare l’approccio verso l’immigrazione
Cosi come andrebbe ripresa una vera politica (umana e accogliente, ancorché rigorosa) verso l’immigrazione, che darebbe diritti a quelle persone e attenuerebbe molto il nostro declino demografico.
Nessuna invasione, come la propaganda di destra recita, i dati Istat che ho richiamato includono già la previsione di 18 milioni di immigrazioni andando al 2080, altrimenti il calo sarebbe enorme.
Gli attuali decreti flussi non bastano
E anche chi propugna blocchi navali o centri di detenzione sa bene che deve agire, e infatti nei prossimi 3 anni i decreti flussi prevedono poco meno di 500 mila ingressi solo per lavoro. Non bastano, soprattutto per la popolazione in età da lavoro, ma soprattutto sono profondamente sbagliati i criteri previsti che non garantiscono permanenza e stabilità sul territorio (sul mercato del lavoro dei migranti e sulle discriminazioni salariali è di prossima uscita il Report biennale della Fondazione Di Vittorio).
I residenti immigrati rappresentano attualmente circa il 9 per cento della popolazione residente in Italia, percentuale che salirebbe anche solo per il calo degli italiani. Per contenere il calo demografico al 2050 dovrebbero arrivare almeno al 16 per cento, una percentuale sicuramente inferiore a quella di altri Paesi europei a quella data, nazioni che già oggi sono 4 o 5 punti sopra l’attuale percentuale italiana.
Ripensare il welfare
Infine il calo demografico e il positivo innalzamento dell’età media delle persone (incredibilmente qualcuno lo definisce problema) pongono la necessità del ripensamento/rafforzamento dell’attuale sistema di welfare e del suo finanziamento.
Afferma Istat, con ragione, che l’impatto sulle politiche di protezione sociale del calo demografico sarà importante, dovendo fronteggiare fabbisogni per una quota crescente di anziani e con una composizione delle famiglie che consentirà minori compensazioni alla mancanza di risposte pubbliche basate sullo sfruttamento del lavoro di cura prevalentemente delle donne.
Già fra 20 anni il 37,5 per cento delle famiglie sarà composta da una persona sola prevalentemente anziana. Anche per questo, risorse aggiuntive per adeguare il welfare pubblico sono necessarie. E i vantaggi fiscali e contributivi di una nuova fase delle migrazioni, oltre che la lotta all’evasione fiscale, sono indispensabili.
Progettare assieme diritti e sviluppo è quindi la nostra vera necessità, pensando al welfare pubblico come uno dei nuovi motori di sviluppo e occupazione per il futuro. Oppure quello che adesso definiamo “inverno” si trasformerà in una vera e propria drammatica glaciazione demografica.