Occorre fermare al più presto un sistema di fare impresa che sfrutta e uccide. Un’emergenza sempre in atto, ora ulteriormente rilanciata dopo la morte di Satnam Singh. Per farlo è necessaria un’analisi lucida della situazione, ma soprattutto serve una ricetta concreta per contrastare il fenomeno. La Cgil la fornisce con un documento dell’Area contrattazione dal titolo “Freework”, che parte dal disegno dello scenario attuale per poi indicare cosa bisogna fare per cambiare rotta.

Tre milioni di irregolari

Sono 3 milioni i lavoratori e le lavoratrici in condizione di irregolarità nel nostro Paese in tutti i settori e le attività. In altri numerici, su 100 lavoratori regolari quasi 13 sono in nero o in grigio, 230mila gli occupati impiegati irregolarmente nel settore agricolo, ossia oltre un quarto del totale del settore. Sono 55mila le lavoratrici in condizioni ancora più marginali, perché sottoposte ad un triplice sfruttamento: lavorativo, retributivo e di esposizione agli abusi.

Il caporalato dilaga

C’è poi la piaga del caporalato. Qui si registrano 3.208 vittime di sfruttamento o caporalato, 2.123 in agricoltura e 897 nei settori del terziario, come risultato dall’attività ispettiva nel 2023. Sono solo la punta di un iceberg considerato che l’attività ispettiva si rivolge a una minima parte di aziende.

Come se non bastasse, nei primi quattro mesi del 2024 siamo arrivati a 268 morti sul lavoro, che corrispondono a oltre 3 morti al giorno e mille in anno. L’irregolarità nel mercato del lavoro va a comporre l’economia sommersa: secondo le stime questa, col suo circuito di sfruttamento, vale oggi in Italia oltre 160 miliardi di euro.

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Cosa bisogna fare 

Scrive la Cgil: “Per la libertà del lavoro occorrono azioni concrete, incisive, immediate e continuative”. In particolare, c’è bisogno di investimenti per il rafforzamento degli organismi di ispezione e controllo, con un piano straordinario di assunzioni, la condivisione delle banche dati e il coordinamento delle attività anche attraverso gruppi di lavoro interforze e una attività coordinata a livello nazionale delle Procure, per aggredire i fenomeni di sfruttamento e di criminalità organizzata, utilizzando tutti gli strumenti legislativi anche relativamente alle misure di prevenzione.

Dare concretezza al Pnrr

Il sindacato chiede poi “scelte coerenti con l’obiettivo di ricostruire e far progredire una cultura della piena legalità e del lavoro regolare, che è lavoro dignitoso, stabile, tutelato, sicuro”. Qui si arriva al nodo del Pnrr: “C’è bisogno di concretezza: il Piano nazionale di contrasto al lavoro sommerso e il piano triennale di contrasto allo sfruttamento lavorativo in agricoltura e al caporalato vanno ampliati, non svuotati di efficacia”. Il primo atto concreto è utilizzare i 200 milioni già previsti per risolvere il tema degli insediamenti informali, cioè “veri e propri ghetti che rappresentano le condizioni di vita non dignitose in molti territori del nostro Paese, di migliaia di lavoratori agricoli migranti, gli stessi che garantiscono i prodotti di eccellenza del nostro Made in Italy”.

Occorre insomma cambiare il modello produttivo e di lavoro.  “Scardinare le cooperative spurie, l’intermediazione illecita di manodopera e mandare fuori mercato chi compete solo sul costo del lavoro, chi paga meno perché pratica lo sfruttamento, il lavoro irregolare, opera nell’appalto e sub-appalto senza regole, non segue prevenzione e formazione in salute e sicurezza”.

Il sostegno va dato alle imprese sane che rispettano i contratti nazionali. Quelle che fanno formazione e la prevenzione, “che rompono le catene della criminalità organizzata nelle filiere produttive”.

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Tutelare chi denuncia lo sfruttamento

Necessario poi “introdurre un sistema di qualificazione delle imprese e di opportuni e necessari controlli, anche per contrastare il fenomeno delle imprese di ‘carta’ funzionali a produrre irregolarità utilizzando e rafforzando gli strumenti della congruità per tutti i settori per misurare l’effettivo e regolare utilizzo della manodopera – prosegue il sindacato -. C’è bisogno di riconoscere il giusto prezzo e il giusto valore dei prodotti nell’ambito della filiera della produzione”.

Va rafforzata la tutela per lavoratrici e lavoratori vittime di sfruttamento e caporalato: dal diritto tempestivo al permesso di soggiorno per motivi di giustizia per coloro che denunciano, alla presa in carico nei servizi per il lavoro per la ricollocazione occupazionale, da percorsi di inclusione sociale con un rafforzamento dei servizi di mediazione culturale alla tutela abitativa. Occorre “una procedura per l’emersione e la regolarizzazione che possa essere attivata dal lavoratore e non solo dalle aziende”.

Basta restrizioni sui permessi di soggiorno

Tra le altre richieste, inoltre, c’è la modifica immediata delle regole di accesso per occupazione e della cancellazione delle restrizioni introdotte per la conversione dei permessi di soggiorno. Bisogna cancellare la legge Bossi-Fini: “Perché dannosa e lesiva dei diritti delle persone, perché i capisaldi della legge, a partire dal cosiddetto ‘decreto flussi’, si stanno dimostrando insufficienti e addirittura dannosi, continuando a lasciare troppe lavoratrici e lavoratori nell’invisibilità, con il permesso di soggiorno sempre a rischio, facile preda di caporali e imprenditori senza scrupoli”.

Infine, la Cgil chiede l’applicazione integrale della legge 199 del 2016, in particolare agendo sulla parte preventiva del reato, a cominciare dalla istituzione delle sezioni territoriali della rete del lavoro agricolo di qualità, un sistema di trasporto pubblico e legale, un collocamento trasparente.