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“È un tabù. In Italia si può parlare di tutto, ma non di spese militari. Anche adesso, mentre negli ospedali mancano i letti di terapia intensiva noi facciamo affari con le armi. È vergognoso”. Gino Strada le armi le conosce bene, suo malgrado. Come il bisturi e le corsie di ospedale. Lui e lo staff di Emergency girano il mondo per riparare i danni che quelle armi procurano all’uomo. E allora proprio non comprende perché un Paese come il nostro debba continuare ad investire su strumenti di morte, quando il sistema sanitario nazionale versa in una situazione comatosa, per colpa dei tagli indiscriminati perpetrati negli ultimi anni. “Oggi tutti a lodare i medici e gli infermieri - incalza il fondatore dell’organizzazione umanitaria - ma invece di utilizzare le risorse per garantirgli sicurezza e strumenti di lavoro efficaci, il nostro governo pensa ad altro”. Strada si riferisce alla commessa, confermata due giorni fa dall’amministratore delegato di Fincantieri Giuseppe Bono e resa pubblica dalla Rete italiana per il disarmo, della Marina Militare per l'acquisto di due nuovi sommergibili U-212 dal costo complessivo di 1,3 miliardi di euro. Sì, avete capito bene: milletrecento milioni.
Strada, con quella cifra si potrebbero allestire subito 1310 posti letto di terapia intensiva nella lotta contro il coronavirus. Ma come è possibile?
È sconcertante. La ritengo una scelta irresponsabile da parte di uno Stato che invece di dare risposte alle persone che fanno fatica perfino a mangiare, spende miliardi per comprare due inutili sottomarini e mantenere il programma d'acquisto degli F35. La vera sicurezza per i cittadini è la salute non la difesa armata. Non è però una novità. Tutti i governi hanno anteposto la spesa militare a quella sociale. Se mi domanda il motivo non le so rispondere, ma è un dato di fatto: le risorse destinate all’acquisto di armamenti continuano ad aumentare mentre quelle in welfare, istruzione e sanità continuano a diminuire. È un paradosso imbarazzante.
Come è imbarazzante che nonostante ci sia il blocco delle attività non ritenute essenziali, le fabbriche di armi restano aperte...
Certo, sottovalutando il rischio che si sta facendo correre ai lavoratori di quel settore. Non capisco davvero perché debbano continuare a produrre. Se c’è una cosa che non è essenziale sono proprio gli armamenti. Bisognerebbe ricordarlo alla classe politica. Oppure bisognerebbe ricordarlo a noi stessi quando andiamo a votare.
Per questa emergenza si sta utilizzando, lo ha fatto più volte anche il premier Conte, la parola “guerra”. Lei che in guerra c’è stato e ha lavorato sotto le bombe, crede che sia una terminologia adeguata da usare in un contesto come il nostro?
A me questo tipo di linguaggio non piace. Ma, a parte la semantica, ci sono proprio delle differenze di fondo. Una su tutte: la guerra è una scelta dell’uomo, le malattie anche quelle infettive no. E poi perché usare questi termini militareschi? Perché invece di guerra non la chiamiamo sfida? Sfida scientifica, ma soprattutto sociale. Così come i medici non sono militari in trincea o eroi. Sono persone che stanno facendo il proprio dovere in condizioni difficilissime, con un senso di responsabilità e dello Stato encomiabile e a loro deve andare tutta la nostra riconoscenza. Ma anche qui siamo ad un altro paradosso: molti di quelli che oggi definiscono eroi gli operatori sanitari sono coloro che in questi ultimi anni hanno smantellato la sanità pubblica mettendo quegli stessi operatori in condizione di pericolo.
Arriviamo al punto, alla questione sanitaria. Come per gli armamenti, un altro tabù del nostro Paese è la sanità privata. Considerata un’eccellenza, nessuno la vuole toccare. Anzi ogni anno i soldi aumentano mentre il sistema pubblico è al collasso...
Sono d’accordo. Ma voglio precisarlo: io non sono contrario alla sanità privata. Sono contrario che la sanità privata venga finanziata con i soldi pubblici. Se vuole espandersi lo faccia pure, ci mancherebbe, ma non sottraendo risorse alla collettività. Non si può fare profitto sulle sofferenze degli altri. Sarebbe come se legittimassimo di andare in giro, porta a porta, a vendere mascherine a 200 euro, non si può è immorale. Ciò di cui non riesco a capacitami e che siamo riusciti a smantellare uno dei sistemi sanitari più efficienti al mondo, invidiato da tutti. Lo stiamo vedendo adesso, con l’emergenza coronavirus in corso, ma lo avevamo visto già prima e sarà così anche dopo, quando torneremo alla normalità. Occorre recuperare un’etica sociale. La verità è che il nostro sistema sanitario nazionale sta in piedi solo e soltanto grazie alla dedizione di medici e infermieri, non certo grazie alle scellerate politiche degli ultimi governi.
Ma almeno da questa brutta storia potremo imparare qualcosa? Magari che la sanità pubblica va preservata...
Sarebbe bello che comprendessimo tutti, i nostri politici in testa, che la salvaguardia della salute delle persone passa solo da una sanità pubblica e gratuita. Non a caso nelle regioni in cui si è investito nel privato e disinvestito nel pubblico ci troviamo di fronte a mortalità più elevate. La sanità come la scuola e come il lavoro sono i pilastri di una società, dare queste cose in mano ai privati credo sia un gesto suicida. Perciò non sono ottimista. Passata l’emergenza passeranno anche tutti quei bei discorsi che oggi si fanno sul valore del nostro sistema sanitario nazionale. In questo momento ai politici fa comodo dire questo, domani se lo scorderanno, come fanno sempre. Torneranno a tagliare le risorse, a non sbloccare le assunzioni dei medici e a chiudere gli ospedali. Mentre adesso li andiamo a costruire nei padiglioni della Fiera. Tutto questo è pazzesco.
A proposito di Fiera, nei padiglioni di Bergamo, grazie alla collaborazione dell'Associazione Nazionale Alpini, della Protezione civile, di Emergency e della task force di sanitari russi, avete appena realizzato un vero e proprio ospedale. I lavori sono iniziati il 24 marzo e si sono conclusi il primo aprile. Uno sforzo che ha potuto anche contare sul fondamentale, generoso e tangibile supporto di numerosissimi donatori, sia a livello locale sia nazionale. È la prova tangibile che se c’è collaborazione le cose si possono fare bene e in breve tempo?
Certo, basta solo evitare, come accade ai padiglioni della Fiera di Milano, di sparare cifre infondate su nuove postazioni solo per uno squallido gioco politico. A Bergamo abbiamo fatto i passi secondo le risorse a disposizione. La struttura, che potrà contare su 72 posti in terapia intensiva e altrettanti in sub intensiva, sarà sotto la giurisdizione dell’Ospedale Papa Giovanni XXIII. Con una task force di 20 unità tra medici, infermieri e fisioterapisti. Il team di Emergency ha la responsabilità di gestire 12 postazioni. Ci sono però ancora dei problemi da risolvere. Mancano i caschi per la Cpap (la ventilazione meccanica a pressione positiva continua, ndr) e non ci sono ancora gli strumenti di protezione del personale.
Visto il lavoro sul campo di Emergency, è inutile chiederle cosa risponde a chi domanda ancora oggi, in modo strumentale: dove sono le ong?
Francamente non so perché facciano queste domande, ma le risposte non le devo dare io, basta aprire gli occhi e guardare senza pregiudizi. Parlano i fatti. Invece di perdere tempo a fare polemiche facessero anche loro qualcosa per la collettività. Invece c’è chi specula, sciacalli sempre pronti a portare avanti le proprie campagne d'odio. Questo non è il tempo delle divisioni e dei personalismi, dobbiamo unire tutte le forze sociali per perseguire un unico obiettivo comune. Mi spiace per chi invece continua a coltivare il proprio orticello. Problemi loro, non dedichiamogli altro tempo.
Passiamo ad altro, allora. Si sta cominciando a parlare della cosiddetta Fase 2. Quella in cui, superata l’emergenza, bisognerà convivere col virus e tornare pian piano alla normalità. Le chiedo, da medico, quando tutto ciò sarà possibile?
Sono sincero, è una domanda a cui non so rispondere. La comunità scientifica ha opinioni molto diverse, dettate da alcune incertezze diffuse. ll virus ha ancora troppi lati oscuri, lo si sta studiando, ci vuole tempo e pazienza. E soprattutto dobbiamo fidarci di medici e scienziati. Solo loro possono dettare i tempi. Trovo paradossale che il capo della Protezione civile organizzi cronoprogrammi e faccia previsioni sulla fine della quarantena. Con tutto il rispetto, non credo spetti a lui. Ma è emblematico di un momento in cui c'è ancora troppa confusione. Il governo decide una cosa, la regione X ne fa un’altra, la regione Y un’altra ancora. Si cambia idea ogni tre giorni. I cittadini sono spaesati. Tutti parlano senza avere credibilità. In una situazione emergenziale bisognerebbe rispettare le competenze. L’unico che dovrebbe raccontarci come stanno le cose è il ministro della Salute, invece sta zitto. Perché? Forse non ha nulla da dire e allora fa bene a tacere, ma tutto ciò è preoccupante.
Strada, concludo con una speranza, e non mi riferisco al ministro “silenzioso”. Emergency e altre ong sono in prima linea. Medici albanesi, russi, cinesi, cubani sono arrivati dai loro paesi a darci una mano. Tra le persone, seppur alle dovute distanze, si sta riscoprendo un senso civico ormai dimenticato. Pensa che tutta questa solidarietà diffusa possa resistere e far parte della nostra vita anche dopo l’emergenza?
Sto apprezzando molto l’aiuto internazionale che molti Paesi stanno offrendo all’Italia. Perché non è né dovuto né scontato. Come ho piacere constatare tutta questa ritrovata solidarietà. Non solo il mondo delle ong, delle associazioni, i sindacati ma va sottolineata soprattutto l’azione civile delle singole persone che con il loro pezzettino di aiuto quotidiano stanno impedendo il naufragio di questo Paese. Bisogna farne tesoro e ricordarcelo anche quando torneremo tutti ad abbracciarci. A quel punto non si potrà più tornare indietro. L’augurio è che questa generosità collettiva sia come un virus, stavolta positivo, che infetta ognuno di noi. E magari anche la nostra classe politica.