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Nell’intervista rilasciata il 19 agosto al Corriere della Sera, il vicepremier Antonio Tajani dice: “Sullo ius scholae la nostra posizione è la stessa da molto tempo… Non è un argomento di sinistra, è una presa d’atto rispetto a una realtà che cambia. E noi non abbiamo nessuna intenzione di lasciare alla sinistra una posizione che è e può essere anche di centrodestra”.
Al netto di questa dichiarazione, forse nel corso degli ultimi vent’anni e più ci siamo persi qualcosa, dato che la battaglia per lo ius soli viene portata avanti dalla fine del secolo scorso, e gli ostacoli per raggiungere l’obiettivo della cittadinanza italiana per bambini e bambine nate nel nostro Paese da genitori di origine straniera sono sempre stati posti da destra, dagli attuali alleati al governo dello stesso ministro Tajani.
Si potrebbe obiettare che ora non si parla di ius soli ma di ius scholae, che però altro non è che una versione edulcorata del primo, e il tema di fondo rimane lo stesso: rendere cittadini italiani studenti e studentesse nati o arrivati in Italia dopo il compimento di un determinato ciclo di studi, indipendentemente dalla provenienza “di sangue”, che richiama la legge tuttora in vigore, una legge palesemente al di fuori di ogni tempo già dal momento in cui entrò in vigore (n. 91 del 1992), figuriamoci oggi.
Prendiamo dunque atto della posizione di Forza Italia; ma al di là delle interviste e delle frasi di circostanza, tendenti a smorzare i toni, se veramente la proposta ha un suo fondamento e si intende portarla avanti sarà inevitabile lo scontro all’interno della maggioranza: si pensi soltanto alla Lega e al suo ultimo uomo di punta, quel generale Vannacci eletto in Europa a furor di popolo (leghista) al grido di “tradizione e distinzione”, in particolare la distinzione nei tratti somatici per riconoscere un italiano, un italiano “vero”.
Anche su questo tema si è espresso Tajani in un passaggio della stessa intervista, quando afferma che “ci sono persone di pelle non bianca che lavorano nelle forze armate, che difendono il nostro Paese. Perché dovrebbero essere diversi da altri? Vanno bene solo se vincono le medaglie?”. Ogni riferimento a fatti e personaggi ben noti non può ritenersi del tutto casuale, e proprio le Olimpiadi di Parigi appena concluse hanno mostrato, ben oltre Paola Egonu, il volto di un’Italia visibilmente diverso da quello che in troppi vorrebbero ancora dipingere monocromatico, identico a sé stesso, ostinandosi a non guardare quella che è invece la realtà, e il volto del futuro.
A renderlo evidente ragazzi e ragazze belli e sorridenti, nelle loro dichiarazioni molto più preparati e intelligenti di chi li avrebbe volentieri relegati nell’oblìo. Atleti che hanno frequentato le nostre scuole, che parlano italiano meglio di noi, e che in classe spesso hanno trovato come compagno di banco qualcuno meno dotato, meno fortunato, e per questo motivo costretto ad attendere la maggiore età per veder riconosciuto il proprio documento d’identità che certifichi il proprio essere italiano.
Che un percorso scolastico comune, un ciclo di studi portato avanti per 5-8 anni possa finalmente offrire a centinaia di migliaia di alunni e alunne l’opportunità di essere cittadini italiani a tutti gli effetti, sarebbe non soltanto la naturale evoluzione delle cose, visto com’è andato e come va il mondo, ma il recupero di un ritardo accumulato da oltre due decenni, durante i quali non si è fatto altro che sommare ingiustizia a ingiustizia, a danno di minorenni colpevoli soltanto di avere un padre e una madre che, in ogni caso, non sono stati loro a scegliere, così come la rispettiva provenienza.
“Non è mai troppo tardi”, titolava la celebre trasmissione televisiva del maestro Alberto Manzi, definita nel 1960 dal ministero dell’allora Pubblica istruzione “Corso di istruzione popolare per adulti analfabeti”. Speriamo stavolta sia davvero quella buona.