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C’è di che essere preoccupati a leggere i dati emersi da Il barometro dell’odio, l’indagine di Amnesty international Italia su post e commenti pubblicati in 196 account pubblici di di Twitter e Facebook sulla base di una lista di esponenti della politica e organizzazioni, con interviste a persone attiviste e un sondaggio di opinione. Da titolo e sottotitolo è chiaro cosa l’ong abbia voluto indagare: “Delegittimare il dissenso. Come il diritto di protesta e le persone che fanno attivismo sono rappresentate nel discorso pubblico”.
La settima edizione dell’indagine di Amnesty si concentra sull’ambito della narrazione del dissenso soffermandosi su due aspetti: il dibattito sui social media e il racconto dei media mainstream. Il primo risultato evidente è una crescente tendenza alla criminalizzazione del dissenso e la delegittimazione delle proteste, aspetti che minano profondamente la democrazia e il diritto di espressione.
La prima evidenza è l’aumento dell'incidenza di contenuti problematici: “quest’anno cresce fino al 15,3% la somma di contenuti offensivi, discriminatori e/o hate speech. Triplicano i veri e propri discorsi che incitano all’odio, alla discriminazione e alla violenza, che superano il 3% del totale di contenuti analizzati. Come sempre a generare la maggiore incidenza di odio in rete è il tema dell’immigrazione”. Nel presentare questi dati da Amnesty ricorda che l'odio online, quando massiccio, può comportare conseguenze devastanti sulla salute mentale e fisica delle persone che vengono attaccate, perché le aggressioni digitali spesso si accompagnano a operazioni di diffamazione e violazione della privacy, con l'obiettivo di screditare e silenziare le voci dissenzienti.
Se ci si sposta sui media mainstream, con i 333 servizi andati in onda in prima serata sui sette principali telegiornali nazionali, emerge una loro evidente tendenza a focalizzarsi più sugli "effetti collaterali" delle proteste, invece che sulle motivazioni alla base. La terminologia usata è criminalizzante: le parole “ecovandali” e “delinquenti” sono utilizzate per descrivere attivisti o manifestanti.
A esprimere una valutazione editoriale critica sulle azioni è soprattutto il Tg4. Non mancano commenti giornalistici critici anche in altri notiziari come Tg5 , Studio Aperto e nel Tg la7, mentre il servizio pubblico risulta più libero dall’espressione di giudizi di merito pur non essendone esente.
Ne consegue, secondo quanto riporta il Barometro, un'erosione degli spazi civici che avviene attraverso l'iper-burocratizzazione, la repressione fisica, provvedimenti amministrativi repressivi. Persone con background migratorio, appartenenti alla comunità Lgbtqia+, donne e ragazze che decidono di manifestare rischiano sempre più violazioni dei diritti umani e discriminazioni.
Tra le gravi conseguenze e dell’incremento di discorsi e termini di odio anche il costituirsi di un clima in cui i suddetti interventi repressivi sono giustificati o passano inosservati. Nel lavoro di preparazione del Barometro è stato condotto un sondaggio, in collaborazione con Ipsos, per rilevare quale sia la posizione dell'opinione pubblica in tema di attivismo e protesta: il 48% degli intervistati considera le manifestazioni come un passatempo o una moda, il 17 per cento non crede che tutti dovrebbero avere il diritto di manifestare. Parte dell’opinione pubblica e delle istituzioni puntano quindi a delegittimare e criminalizzare il dissenso.
Donatella Della Porta, docente in Scienza politica presso la Scuola normale superiore di Pisa, ha spiegato ad Amnesty international che “si considera che alcune forme di intervento di disobbedienza civile attaccano lo stato di diritto. Questa è la retorica che viene presentata. In realtà è l’opposto, è un’incapacità dello stato di diritto di funzionare in maniera democratica e di trasformarsi ascoltando anche le voci critiche”.
Amnesty International chiede quindi “ai mezzi di informazione di evitare l’utilizzo di titoli sensazionalistici e svolgere una efficace e costante azione di verifica dei contenuti veicolati, per prevenire una narrazione che criminalizza la protesta e le persone attiviste e la radicalizzazione dei commenti d’odio online”. La necessità è quella di “favorire il pluralismo di vedute prevedendo l’intervento sistematico di esperti dei temi trattati legati alle azioni di protesta e di persone attiviste che possano presentare le istanze portate avanti e le motivazioni alla loro base”.
Infine l’ong chiede alle forze di polizia di facilitare il lavoro di documentazione giornalistico garantendo il pieno esercizio del diritto di cronaca.