Siamo “tornati” a Codogno. Uno dei luoghi in cui (quasi) tutto è iniziato. L’8 marzo avevamo raccontato la storia dell’istituto comprensivo della città lombarda, chiusa dal 21 febbraio. Più di tre mesi fa la preside, Cecilia Cugini, ci diceva di come la scuola (più di 1.600 studenti, 200 docenti e circa 40 Ata) si era fatta “telescuola” e così stava riuscendo a cavarsela, facendo sforzi sovraumani per garantire continuità scolastica a un’intera comunità che con l’impegno di tutti – personale, studenti, famiglie – si è stretta intorno al suo istituto.
“I docenti si sono mossi in libertà e con grande creatività: dalla semplice fruizione di tutte le modalità che offre il registro elettronico ad applicazioni come Google Classroom, MyEdu che permettono di interagire, caricare e scaricare materiali didattici”, ci spiegava la dirigente.
E ora? Ora bisogna tornare in classe, dice Cugini, luogo di socialità per eccellenza ("l'insegnamento deve essere fatto in presenza, i bambini hanno bisogno di contatto e di scambio empatico tra le persone") e per farlo ci vuole però anche un grande esercizio di creatività da parte della scuola. E anche molto buon senso: "Prima di pensare a come investire le risorse che ci sono state promesse dal ministero, prima di acquistare i pannelli in plexiglass, vogliamo vedere come evolve la situazione anzitutto dal punto di vista del contagio". Dal punto di vista pratico, aggiunge, "ci stiamo muovendo con gli enti locali che si sono dimostrati disponibili a cercare di effettuare migliorie nella scuola".
Un’esperienza difficile, complessa, anche perché Cecilia Cugini ha vissuto questa vicenda proprio nel suo anno di prova come preside. E prova davvero è stata, e ancora sicuramente sarà alla ripresa dopo l’estate.