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Le scelte intorno alla de-carbonizzazione e alla transizione energetica della Sardegna “non possono non passare dalla realizzazione del piano di metanizzazione con la relativa dorsale per trasportare il metano prima e l’idrogeno poi, non certo attraverso una selvaggia colonizzazione di produzione da eolico e fotovoltaico che, invece, deve essere riequilibrata in favore di un mix energetico che contempli – oltre al metano, come nel resto d’Italia e d’Europa – un giusto apporto anche di altre Fer come idroelettrico e biomasse”. Inizia così la nota sindacale.
La Cgil della Sardegna “ribadisce le sue posizioni sul tema dell’energia con un documento di quattro pagine che traccia le linee da perseguire per arrivare a una giusta transizione, che raggiunga gli obiettivi in modo socialmente sostenibile, senza mortificare il paesaggio e rilanciando il sistema economico e produttivo”.
Si può fare, ma è asolutamente necessario “rimettere al centro gli interessi e gli obiettivi dell’isola nel contesto della comunità nazionale ed europea anche attraverso il confronto con il governo nazionale: non a caso, di concerto con le strutture regionali, è stato chiesto dalle segreterie unitarie Cgil, Cisl e Uil nazionali un incontro urgente ai ministri Pichetto Fratin e Urso”.
Nel frattempo, quel confronto è stato avviato a livello regionale con un primo incontro con l’assessore regionale all’industria, nel quale si è appreso che la trattativa sul piano di metanizzazione è ripartita e si dovrebbe arrivare in tempi stretti a un nuovo Dpcm Sardegna.
È proprio per l’assenza della fonte di transizione prevista dalle direttive europee che rischia di concretizzarsi uno scenario che la Cgil ha sempre contrastato, avvertendo per tempo che la transizione può e deve compiersi attraverso una pianificazione che restituisca benefici e crei nuove opportunità, senza mortificare il mondo del lavoro e le diverse vocazioni dei territori della Sardegna.
“Ci troviamo davanti a un decreto – prosegue -, quello sulle aree idonee dello scorso 21 giugno, che assegna alla Sardegna un’eccessiva quantità di produzione da Fer. Un’imposizione che arriva dall’alto e vorrebbe indicare qualità e quantità di un cambiamento che qui in Sardegna deve essere governato e non subìto. I problemi di oggi discendono da un’impostazione data dal governo nazionale nel 2021 con il decreto 199, sul quale non era stata intrapresa alcuna azione dalla precedente Giunta”.
Ora quella attuale “si appresta a tracciare i limiti perché il decreto di giugno venga attuato senza distruggere l’ambiente, il paesaggio, le biodiversità, gli ecosistemi. Ci auguriamo che questo processo possa contemplare la revisione della quantità di 6,2 GW di energia da fonti rinnovabili assegnato alla Sardegna”.
Lo stesso Pniec 2024 infatti, indica come metodo un percorso di condivisione e ripartizione equa degli obiettivi su scala regionale ma non sembrea che questa modalità sia stata perseguita. Anzi, “ora è indispensabile mantenere alta la guardia perché nell’ultima versione del Piano la quantità di produzione da Fer prevista è passata da 80 GW a 131 GW, quindi c’e un ulteriore fortissimo rischio di nuove ripartizioni che destano perplessità e preoccupazioni. Chi e in quali tavoli ne sta discutendo?”, si chiede il sindacato.
“È indispensabile avviare immediatamente un nuovo confronto con tutti i soggetti coinvolti, istituzioni ai vari livelli e parti sociali per evitare ulteriori criticità e dissenso nei territori”.
Il sindacato rivendica poi l’aggiornamento del Pears fermo al 2016 e auspica indirizzi certi in vista della chiusura delle due centrali a carbone: “Questo processo va accompagnato da piani di riconversione, perciò guardiamo con interesse al progetto Fiume Santo Energy Park e per la stessa ragione non accettiamo che la centrale del Sulcis sia sostituita con la dislocazione nel territorio sardo di batterie elettrochimiche”. A tal proposito, la Cgil sottolinea che spetta al decisore politico gestire e indirizzare questo processo, non certo alle singole aziende.
Oggi invece, gli operatori del mercato energetico, comprese le grandi aziende partecipate dallo Stato, minano il percorso graduale della transizione e si continua a non contrattare azioni adeguate con il governo e con le aziende. Le batterie elettrochimiche, i parchi eolici e fotovoltaici non sono la soluzione: “Purtroppo, a costo di essere ripetitivi, continuiamo a dire che la soluzione è il mix energetico, non solo per la produzione di energia elettrica ma anche per tenere la rete in equilibrio in costanza di fornitura e per decarbonizzare le produzioni delle aziende industriali, manifatturiere e dell’agroindustria”.
Per la Cgil è indispensabile una giusta proporzione tra eolico, fotovoltaico, idroelettrico nei bacini superficiali e sotterranei, biomasse, accumuli, metano prima e idrogeno poi.
Inoltre, la pianificazione deve fondarsi su soluzioni appropriate in termini di fattibilità tecnologica, a salvaguardia delle produzioni, delle competenze professionali e dei consumi presenti e futuri, relativamente ai quali “è urgente agire per avviare percorsi che, passando per investimenti sull’efficientamento dei processi e delle infrastrutture, li riducano, garantendo la stabilità delle reti e degli approvvigionamenti”.
A tutto ciò si lega anche il futuro del sistema produttivo perché quando parliamo di quantità e qualità delle produzioni dobbiamo anche partire da una domanda: “Dobbiamo produrre energia per fare cosa?”. Il fabbisogno va tracciato immaginando nuovi scenari di crescita e benessere che vanno orientati e le ricadute devono essere a vantaggio della collettività dei sardi.
“Noi chiediamo una programmazione che favorisca lo sviluppo e la diffusione delle tecnologie abilitanti e degli elementi di innovazione strategiche per il futuro industriale sardo, nel quadro della nuova strategia industriale dell’Ue”.
In questo quadro sarà determinante realizzare filiere produttive, uscendo dalla logica delle sole produzioni che poi vengono lavorate fuori dall’Isola. Occorre anche ripartire dalle bonifiche dei territori per estrarre le materie prime critiche e le terre rare, settore sul quale dobbiamo respingere con forza le gravi ingerenze da parte del governo nazionale.
Per fare tutto questo però, serve una visione, un governo regionale che dia continuità e approfondisca un confronto sulla prospettiva, servono scelte e indirizzi precisi di politica energetica e industriale. E servono misure e garanzie a tutela delle lavoratrici e dei lavoratori interessati da crisi, riconversioni e nuove attività, serve riqualificare le loro professionalità intorno a nuovi e innovativi progetti produttivi.
La Cgil chiede di istituire per legge un’Agenzia sarda per lo sviluppo industriale e un Fondo speciale per la transizione al fine di realizzare la trasformazione dell’industria sarda per dar corso, in raccordo agli obiettivi del Pnrr, alle previsioni del green deal europeo. L’agenzia dovrà anche monitorare e coordinare le procedure burocratiche relative alle autorizzazioni di nuovi impianti e attività e il fondo dovrà elaborare interventi specifici per le imprese e i lavoratori, comprese le misure di sostegno al reddito, di formazione e riqualificazione professionale, di aggiornamento delle competenze per le lavoratrici e i lavoratori.
“La Sardegna – conclude la Cgil – è stata terra d’avanguardia nelle sperimentazioni innovative e tecnologiche: sappiamo che possiamo e dobbiamo recuperare il tempo perduto, fare un salto per connetterci alle realtà più competitive, bruciare le tappe e sintonizzarci sulla sfida di un cambiamento al quale siamo chiamati a concorrere. Vogliamo farlo con un percorso il più possibile condiviso e senza imposizioni dall’alto, attraverso il metodo del confronto continuo con il governo regionale in carica”.