Il giorno dello sciopero generale di Cgil e Uil, il Corriere della Sera, ha riportato stralci di un discorso del noto attore tarantino, Michele Riondino, che parlando a un gruppo di studenti di Massafra aveva detto, riferendosi al segretario nazionale della Cgil, Maurizio Landini, che la classe operaia ormai non esisteva più e il sindacato si era “autodistrutto”. Ecco la replica del segretario generale della Cgil di Taranto, Giovanni D’Arcangelo:


Come faccio ad esprimere una riflessione su una persona che non conosco, che addirittura ha fatto film o arringhe su palchi e iniziative pubbliche senza aver mai pensato di interagire con quella realtà che non perde mai occasione di criticare? Tempo fa, nel 2015, gli inviammo persino una mail per invitarlo ad un confronto. Non ne conoscemmo mai l’esito. Forse noi tarantini, eravamo platea o troppo piccola, o troppo provinciale o troppo scomoda. E chi lo sa?

Io sono il segretario generale della Cgil di Taranto, probabilmente quasi coetaneo di Riondino, e per me, militante, attivista e solo dopo molto tempo nel ruolo di segretario, il sindacato è un’altra cosa. Ma per capirlo bisogna stare in una Camera del Lavoro qualsiasi, e noi ce le abbiamo in tutti i 29 comuni della provincia, in un’assemblea con i lavoratori qualsiasi, in uno dei nostri Caaf o sede di patronato Inca, dove impattiamo quotidianamente con i guai delle famiglie. Bisogna conoscerle storie ed esaminare il contesto.

Così mi viene in mente Aristotele che ben distingueva tra saggezza e sapienza, la prima che discende dalla capacità dell’uomo di ragionare più approfonditamente di cose complesse, la seconda più astratta calata sulle cose senza quasi sentire il dolore della carne viva delle persone su cui tutta quella sapienza si vuol calare.

In questo caso saggezza e sapienza, mi spiace dirlo, ma fanno difetto, perché il mondo del lavoro è fatto di uomini e donne che si rivolgono al sindacato per la soluzione dei loro problemi. A volte solo per essere ascoltati. Certe volte persino per sfogare la loro rabbia. E solo al sindacato badate bene. Non ad enti di promozione. Non a chi fa, addirittura, sacrosanta promozione culturale di un territorio, o chi svolge la funzione sociale di preservarne la memoria.

Nelle aule dei tribunali, nelle assemblee di fabbrica, ci siamo solo noi con loro. E siamo quelli per cui l’autodistruzione” non è messa in conto, perché la nostra distruzione sarebbe l’ulteriore indebolimento di quel fronte che invece noi e Riondino dovremmo, e sottolineo dovremmo, avere in comune.

Ai tempi della Laf subirono quella fine tutti i dipendenti sindacalizzati rimasti, gli altri erano stati già epurati, pre-pensionati. La “classe operaia” delle grandi lotte sindacali era stata messa fuori, soppiantata da giovani che avevano tutto da imparare, ma anche l’urgenza di finire le fondamenta della villetta al mare o di guardare comunque al futuro. Disconoscere questi processi è soprattutto un grande danno alla memoria collettiva di questo territorio, ed è un grande danno all’analisi seria che serve per costruire il futuro. Dividersi su questo è un grande madornale errore. E credo che a volte Riondino faccia lo stesso errore dei movimenti politici nati sulla spinta dell’anti-sistema, che poi del sistema in realtà hanno fatto parte governando con destra o sinistra.

E allora, se proprio si vuole dare un contributo alla discussione, si deve provare a leggere la complessità di questi tempi e magari parlare di una classe operaia trasformata che è più classe lavoratrice, perché il mondo del lavoro cambia ogni giorno e la precarietà dilaga anche tra le figure professionali che non sono operaie.

Anche il sindacato è cambiato, e noi diciamo pure per fortuna. Adeguare le pratiche sindacali a questi tempi forse è la sfida più difficile che, sono sicuro e lo dico in punta di piedi e dal basso della mia umile esperienza, forse avrebbe fatto tremare i polsi anche a quelli che vengono definiti delle figure mitiche del sindacato, quasi dei supereroi del passato.

Una cosa è certa, sparare nel mucchio senza conoscere, fa danni più della grandine, specie se sei meritoriamente popolare per il tuo ruolo di attore pluri-premiato. Per questo dico che sfasciare e scommettere sulla “morte” della classe operaia non c’entra niente con la lotta.

Quei 1500 che il 29 novembre hanno sfilato a Taranto, e il mezzo milione in tutta Italia, ci credono ancora, e lottano per i diritti e marciano sotto il sole e sotto la pioggia, anche per chi ha pance piene e vite che speriamo non vengano mai stravolte da povertà, disoccupazione o malattie e infortuni sul lavoro.

Queste sono le cose concrete di cui ci occupiamo noi. Difendere lavoro e diritti. E questo non è un film!

Giovanni D’Arcangelo è il segretario generale della Cgil Taranto