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“Per sostenere la competitività del sistema produttivo, oltre alle infrastrutture, sono necessari ingenti investimenti sull’innovazione dei processi e dei prodotti. La spesa per la ricerca e lo sviluppo in Puglia ha registrato nel triennio 2015-2017 (ultimi dati disponibili) un calo di 215 milioni, con un'incidenza su quella totale passata da un già misero 1 per cento allo 0,8, sotto anche la media del Mezzogiorno. Se non si inverte la rotta il sistema sceglierà una ‘via bassa alla competitività’ basata sulla compressione dei salari e dei diritti dei lavoratori”. È quanto denuncia la Cgil Puglia, che sta lavorando alla costruzione della piattaforma per lo sviluppo in vista degli Stati generali che il sindacato terrà a settembre.
“Lo sviluppo di tecnologie e processi innovativi e la capacità di trasferirli al sistema produttivo – afferma il segretario generale Pino Gesmundo – rappresentano anche elementi chiave per aumentare l’attrattività dei territori, e questo è vero soprattutto per le aree del Mezzogiorno che anche su questo versante accusano un gap con il resto del Paese, pur presentando, come in Puglia, realtà di assoluta eccellenza. Sia a livello nazionale che regionale vi sono ingenti risorse per l’innovazione che il sistema produttivo nel suo insieme deve saper cogliere, anche per accrescere le competenze e trattenere quel capitale umano, soprattutto giovani, che in virtù di una formazione poco spendibile nella realtà regionale è costretto a emigrare”.
Che vi sia un problema di domanda di lavoro qualificato nella regione lo certifica il dato dei lavoratori cosiddetti "sovraistruiti", che sono il 24,1 per cento, un quarto del totale. La spesa complessiva per attività di ricerca e sviluppo nel 2017 è stata di 579,5 milioni di euro, in calo rispetto ai 715,6 del 2015 e ai 606 del 2016. La spesa in ricerca e sviluppo per abitante è passata dai 175 ai 142 euro, a fronte di una media nazionale in crescita e che nel 2017 ammontava a 392,7 euro. Oltre la metà di questa spesa è opera del pubblico: il 44,6 per cento le università (contro una media nazionale del 28,4) e il 13,7 per cento la pubblica amministrazione, più in linea con il dato Italia. Al contrario i privati, cioè le imprese, coprono il 39,6 per cento della spesa totale, a fronte del 55,4 di media nazionale.
“Stiamo vivendo una fase di inesorabile transizione in cui tecnologia e digitalizzazione impongono cambiamenti alle imprese nel modo di produrre e ai dipendenti nel modo di lavorare. Industria 4.0 parla al sistema manifatturiero, impone un know how adeguato, chi non saprà rispondere a questi cambiamenti avrà serie difficoltà a competere su uno scenario sempre più globale", spiega Gesmundo: "Ma anche l’agroalimentare, il turismo, devono cogliere le opportunità che derivano dal puntare su prodotti e processi di qualità e innovativi per accrescere quote di mercato. Soprattutto in Puglia abbiamo settori produttivi che necessitano di percorsi di ristrutturazione, pena un pesante arretramento”.
Serve allora lavorare in rete “con le cinque università che abbiamo nella regione, i tanti enti pubblici di ricerca, i sette uffici di trasferimento tecnologico, i 18 distretti produttivi, i sei distretti tecnologici, gli incubatori di imprese, gli oltre 90 spin-off accademici, le pmi innovative, le start up. Un ruolo centrale deve svolgerlo il pubblico e le grandi imprese partecipate che in Puglia rappresentano alcune delle eccellenze – da Enel a Leonardo, da Tim a Poste Italiane - che devono essere in grado di attivare filiere e stimolare innovazione di prodotto. Ma devono farlo anche le multinazionali della farmaceutica, dell’agroalimentare, della meccanica, dell’impiantistica, spingendo tutto il sistema produttivo verso l’innovazione”.
Un limite agli investimenti privati, ricorda il segretario generale della Cgil Puglia, “è sicuramente dato dalla dimensione aziendale media. Se guardiamo i report di Puglia Sviluppo, si nota come le agevolazioni legate ai contratti di programma piuttosto che ai Pia medie e piccole imprese o ancora ai Pia turismo, hanno prodotto investimenti in ricerca, sviluppo e innovazione per 893 milioni di euro nella programmazione 2014-2020. Se si va a guardare il titolo II ordinario o ad altre agevolazioni, che hanno interessato un alto numero di piccolissime attività, la voce nella casella investimenti è zero. Occorre allora superare queste debolezze che derivano da un agire in maniera individuale, in cui lo sviluppo di prodotto e di processo è dettato dalle capacità intrinseche, per ragione in termini davvero di sistema, di distretto. Questo vale per la meccanica come per l’agroalimentare, che pur rappresentando un pezzo importante della nostra economia è in ritardo rispetto a processi di chiusura della filiera, con una commercializzazione e valore aggiunto annesso che spesso vanno ad appannaggio di imprese di altri territori”.
“C’è un problema di governance dei processi e di dispersione delle risorse che va superato, mettendo a valore meglio e di più l’intuizione, il lavoro e le specifiche dei distretti produttivi", conclude Gesmundo: "Per l’agricoltura come per le politiche industriali, per il turismo come per l’energia, abbiamo sempre invitato i decisori politici a riunire attorno al tavolo i soggetti della rappresentanza sociale e di chi lavora sull’innovazione e la ricerca, per definire strategie a partire da una conoscenza del territorio e delle sue dinamiche, delle debolezze come dei punti di forza. È in ultimo il senso del lavoro della nostra piattaforma e degli stati generali che terreno a settembre: aprire un largo confronto che guardi allo sviluppo economico e alla crescita occupazionale e sociale. Sapendo che senza innovazione, senza governare i processi tecnologici in termini di valorizzazione delle produzioni e del lavoro, non ci può essere futuro per questa regione”.