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38.163 sentenze di sfratto nel 2021, in aumento rispetto al 2020 del 17 per cento. 33.208 richieste di esecuzione con la forza pubblica, più 45 per cento. 9.537 esecuzioni, con un incremento dell’80 per cento. I dati annuali snocciolati dal ministero dell’Interno fotografano solo in parte un’emergenza annunciata, quella della casa, che da Nord a Sud, da Milano a Campobasso, passando per Roma e Firenze, sta mettendo in difficoltà migliaia di persone, gettando in strada intere famiglie.
In Italia la casa è quindi sempre di più un diritto negato a una parte significativa della popolazione: non più solo alle fasce tradizionalmente riconosciute come destinatarie di un alloggio popolare, ma anche a chi presenta nuove e diversificate situazioni di disagio grave, temporaneo o stabile, persone in difficoltà nel sostenere i costi di un appartamento o nell’accedere a un’abitazione dignitosa, complici anche l’impennata dell’inflazione e il rincaro dell’energia.
Se si vanno a guardare le motivazioni delle sentenze di sfratto registrate dal monitoraggio del Ministero, infatti, si scopre che nella stragrande maggioranza dei casi, 32.083 per l’esattezza, sono da attribuire alla morosità incolpevole nei grandi centri come nei piccoli comuni della provincia. Segno che l’impossibilità sopravvenuta di pagare l'affitto perché è diminuito o è venuto meno il reddito familiare, per perdita di lavoro o riduzione dell’orario, è un dato strutturale e nazionale: attestandosi intorno al 90 per cento di tutte le sentenze emesse, dimostra che da almeno vent’anni la questione del caro affitti e della povertà producono il fenomeno della precarietà abitativa mai veramente affrontato.
“Nel 2021 la povertà assoluta che riguarda 1,9 milioni di famiglie è risultata stabile, confermando il massimo storico toccato nel 2020, mentre è aumentata la povertà relativa con 2,9 milioni di famiglie sotto la soglia, 300mila in più del 2020 – dichiara Laura Mariani responsabile dell’ufficio politiche abitative e dello sviluppo urbano della Cgil -. Questo dato conferma che troppo spesso anche avere un lavoro non è sufficiente per garantire una vita dignitosa. Basti pensare che in Italia un lavoratore su tre ha una retribuzione lorda annua inferiore a 10 mila euro e, come ci dice il rapporto dell’Inps, a fronte di una ripresa occupazionale in termini di quantità, sono presenti un minor numero di ore lavorate, part-time involontario come zavorra sulla condizione femminile, crescita del tempo determinato e della somministrazione”.
Per questo il neonato Osservatorio nazionale sulle politiche abitative e di rigenerazione urbana, promosso dal Forum Disuguaglianze e diversità e da altri soggetti, tra cui la Cgil e gli altri sindacati confederali, organizzazioni di cittadinanza attiva, Sunia e sindacati degli inquilini, università, ha presentato un pacchetto di proposte per reintrodurre nell’agenda del Paese il tema delle politiche della casa, affrontare questo problema sociale enorme, destinato a esplodere in assenza di risposte di sistema.
Primo fra tutti, il rilancio dell’edilizia residenziale pubblica, con un programma pluriennale che possa sanare una carenza che le stime più accreditate indicano in 500 mila alloggi. Il patrimonio esistente, pari al 4 per cento del numero totale di abitazioni (in Francia e in Gran Bretagna i valori sono quattro volte superiori) soddisfa una quota che oscilla tra il 3 e il 5 delle domande in graduatoria.
“Mentre una risoluzione del parlamento europeo ribadisce che gli Stati devono garantire a tutti un alloggio dignitoso e li invita a investire nell'edilizia sociale, in Italia l’intervento pubblico è sempre più assente – riprende Mariani -, si disinveste nell'offerta di abitazioni sociali, le forme di contributo diretto alle famiglie in affitto hanno risorse scarse, discontinue e non in grado di rappresentare una misura strutturale per i nuclei vulnerabili. In generale, il tema sconta l'assenza di una politica specifica nell'agenda nazionale. Il progressivo arretramento dello spazio pubblico va colmato attraverso un nuovo protagonismo, una programmazione di finanziamenti diretti al settore e un governo degli interventi in processi rigenerativi”.
Per l’Osservatorio l’obiettivo del rilancio dell’edilizia popolare può e deve essere raggiunto senza ulteriore consumo di suolo, partendo dal recupero e dal riuso del patrimonio esistente e dismesso, privato e pubblico, aggredendo così anche uno tra i primi fattori di degrado nelle nostre città: secondo l’Istat sarebbero più di 2 milioni gli edifici abbandonati. Occorre poi intervenire sulle norme che regolano l’accesso alle case popolari, per chiarire i diversi parametri e superare opacità e distorsioni, stimolando e supportando i comuni nella ricerca delle soluzioni, agire sul mercato dell’affitto privato potenziando la contrattazione sindacale; istituire le agenzie per la casa, snodo territoriale per coordinare gli interventi a livello locale.
“Per invertire una tendenza negativa serve un pensiero unitario – conclude Laura Mariani della Cgil -. E serve ripartire da un concetto di equità e giustizia sociale. Perché distanze e disuguaglianze possono ridursi con politiche e interventi orientati, o rischiano di diventare incolmabili se le amministrazioni non riescono ad assolvere pienamente al dovere costituzionale di rimuovere tutti gli ostacoli al diritto di ogni persona a una vita dignitosa”.