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L’estate sta finendo e pure il conto in banca di tante famiglie italiane alle prese con la sindrome del fine mese mai. Ed è solo l'antipasto, perché una volta spenti i condizionatori e riaccesi i riscaldamenti, i conti autunnali rischiano di evaporare come gas. In questa accalorata campagna elettorale è la bolletta la regina indiscussa della propaganda politica. Tante ricette ma nessuna soluzione concreta che possa alleviare un disagio sempre più crescente, figlio di una guerra sciagurata ma non solo.
Speculazioni, scarsi investimenti, ritardi strutturali: è un mix di concause se il costo dell’energia è schizzato a livelli mai visti prima. La politica - a dire la verità più il governo che i singoli partiti - dovrebbe affrontare la questione seriamente, con urgenza e determinazione, ed invece si pensa più all'interesse del seggio sicuro e a come arrivare vivi al 25 settembre cerchiato di rosso sul calendario piuttosto che ai mesi successivi in cui si rischia di rimanere con le caldaie spente e le candele accese.
Il decreto Aiuti bis dello scorso luglio da 14 miliardi è in Parlamento, ma il bonus di 200 euro è solo una goccia nel mare in tempesta. Serve un intervento più muscolare. Con soluzioni straordinarie, nell’immediato, e strutturali nel lungo periodo. A chiederlo sono le famiglie, i lavoratori, i pensionati e le imprese, quest’ultime logorate dal drammatico dilemma: aprire o chiudere? E ancora: chiudere o licenziare?
Il dibattito pubblico a cui stiamo assistendo non è esaltante, per usare un eufemismo, con i partiti a contendersi lo zerovirgola a suon di promesse su come garantire l'acqua calda agli italiani. Di risolutivo c'è ben poco, come pochi sono i soldi da mettere sul piatto. Ma se lo spauracchio dello scostamento di bilancio è poco spendibile perché indigesto al premier Draghi, arriva dalla Cgil una proposta chiara per tamponare l’emergenza e scongiurare saracinesche abbassate e capannoni smantellati: ridistribuire a famiglie e imprese tutti gli extraprofitti. Non limitandosi alle aziende energetiche, ma coinvolgendo anche quelli di banche e imprese farmaceutiche, mai così alti da 10-12 anni.
Una misura shock che avrebbe un impatto immediato sulle persone e ridarebbe ossigeno e speranza all'economia reale del Paese. Ma non basta. Parallelamente c’è bisogno di bloccare il prezzo del gas, con il tetto che fluttua peggio dello Spread nostrano. In verità qui l’Italia da sola può fare poco, serve l’accordo con gli altri Paesi europei che restano divisi sulla cifra massima.
Interventi immediati dicevamo, ma per non vivere in una situazione di perenne emergenza servono misure lungimiranti che abbiano un respiro più lungo di una mezza stagione. A cominciare dall’attivazione di un tavolo straordinario per l’autonomia energetica fondato sulle fonti rinnovabili. Sulla carta tutti sono d’accordo, alla pari della pace nel mondo, ma la realtà è che nessuno muove un dito. Gli effetti benefici sono troppo lontani nel tempo, poco appetibili per l'italica visione politica del mordi e fuggi. Ma se nessuno semina oggi, perché mai dovremmo pensare di raccogliere i frutti domani?
Andrebbe poi ripensata anche una nuova politica industriale che tenga insieme l’ambiente, il lavoro e la sicurezza. Tre cardini per costruire un futuro sostenibile e consegnarlo alle future generazioni, costrette a vivere dentro un millennio cominciato maluccio. Utopia? No, "semplice" volontà politica. Che di questi tempi, in cui le promesse hanno le gambe corte, di strada ne fa davvero poca.