“Questa sarà l’autonomia delle diseguaglianze. L’efficienza, il benessere, l’uguaglianza dei diritti fondamentali non possono essere beni limitati, e la risposta a problematiche comuni a tutto il Paese non può essere l’attribuzione di maggiore autonomia e maggiori risorse ad alcuni territori, lasciandone indietro altri. Non si può rompere il vincolo di solidarietà statuale né cancellare il principio perequativo, non può essere messa in discussione l’unitarietà della contrattazione nazionale”. È quanto dichiara la Cgil in una nota in merito alla discussione avviata in Consiglio dei ministri sulle intese concernenti l'autonomia differenziata ai sensi dell'articolo 116, terzo comma, della Costituzione.
Secondo la confederazione “sanità, prestazioni sociali, istruzione e formazione, lavoro e tutela dell’ambiente devono essere garantiti in tutte le Regioni, attraverso una legislazione nazionale e con un’adeguata copertura finanziaria. Il criterio della spesa storica non è sufficiente a garantire uniformità dei diritti, lo dimostra lo stato esistente dei servizi pubblici”. “In Italia le gravi diseguaglianze nella fruizione di servizi pubblici essenziali - denuncia - dimostrano che la garanzia dei diritti fondamentali o è completamente assente o è condizionata dal territorio di residenza, con picchi di vera drammaticità nelle regioni meridionali”.
In questo quadro per la Cgil “non si può concedere maggiore autonomia ad alcune Regioni senza prima aver adottato una legislazione nazionale che definisca leggi quadro sui principi fondamentali e garantisca, in tutti gli ambiti, i Livelli Essenziali delle Prestazioni, e i relativi fabbisogni standard connessi all’esigibilità della prestazione definita come essenziale”.
“Non siamo contrari a un riconoscimento di maggiori forme di autonomia volto a realizzare un federalismo cooperativo e solidale. Siamo contrari - ribadisce in conclusione la Cgil - ad ogni ipotesi di autonomia differenziata che cristallizzarebbe o incrementerebbe esponenzialmente le diseguaglianze oggi esistenti, portando ad una inaccettabile disarticolazione territoriale dell’esigibilità dei diritti sociali con la creazione di venti sistemi differenti, realizzando, senza dirlo, la devolution già bocciata dai cittadini”.