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Faenza alluvionata. Due dispersi a Bagnacavallo. Oltre mille evacuati in tutta l’Emilia-Romagna, la gran parte nel Ravennate. Fiumi esondati e argini rotti in diverse località, anche del Bolognese. Scuole chiuse, soprattutto nell’area nord-orientale. In ventiquattro ore in alcune zone della regione sono caduti fra i 250 e i 300 millimetri di pioggia. Nel 2023 a maggio ne caddero fra i 400 e i 450. In alcuni territori la situazione è persino peggiore di quella che si è verificata un anno e mezzo fa.
Dopo le alluvioni che nei giorni scorsi hanno colpito 2 milioni di persone nel Centro ed Est Europa causando 20 vittime, ora di nuovo in Emilia-Romagna e in modo più circoscritto nelle Marche. Da che cosa sono provocate? “Dipendono moltissimo dal Mediterraneo caldo, lo zampino dei cambiamenti climatici c’è ed è molto evidente” risponde Antonello Pasini, fisico climatologo del Cnr, docente di fisica del clima a Roma Tre e autore tra gli altri del volume “L’equazione dei disastri”.
Che cosa è successo Pasini?
L’aria fredda dapprima è scesa sul Mediterraneo, che è surriscaldato a causa del riscaldamento globale. Questo ha provocato un contrasto termico molto forte. L’aria si è quindi arricchita di grande umidità ed energia e si è spostata al centro sud dell’Europa, dove si è scaricata con la forza che abbiamo visto. Poi il gioco delle correnti ha fatto in modo che arrivasse fino a noi. Si immaginava che avesse perso tutta la sua carica, e invece alimentata dal Mediterraneo ha provocato disastri anche da noi. Le precipitazioni dovrebbero diminuire di intensità ed esaurirsi nel giro di poco.
Nel frattempo, però, ha causato allagamenti e crolli.
È vero. Prima avevamo perturbazioni che passavano da est a ovest, si spostavano. Adesso rimangono più spesso stazionarie e si approfondiscono. In pratica, continua a piovere sullo stesso territorio per più tempo. Anche questa è un’impronta del cambiamento climatico nel Mediterraneo. Questi episodi dovrebbero essere più rari in futuro, perché l’anticiclone africano, che porta grandi ondate di calore e siccità, ci protegge. Ma quando questo si ritira ed entrano le correnti fredde, con il contrasto termico si verificano i disastri. Come in questo caso.
Quindi ci saranno sempre meno “vie di mezzo”?
Sì, avremo ondate di calore e siccità come quella che sta vivendo la Sicilia. Quando arriveranno le correnti fredde avremo fenomeni meteorologici estremi, con la distruzione dei raccolti e chicchi di grandine grandi come palle da tennis. Un altro fattore è la vulnerabilità del territorio.
Del nostro territorio intende?
Sì, l’Appennino è estremante franoso e l’acqua può provocare smottamenti. Dall’altra parte le vallate alpine e appenniniche sono strette, con fiumiciattoli a regime torrentizio: quando arriva la piena, in una o due ore si possono verificare fenomeni estremi molto localizzati e molto rapidi. La catena operativa di allerta deve poter raggiungere il cittadino, su questo dobbiamo lavorare e migliorare.
Ci sono altri fattori che determinano queste alluvioni?
La cementificazione: in Emilia-Romagna sta al 9 per cento del suolo, contro una media nazionale del 7 per cento. Cemento e asfalto non aiutano ad assorbire l’acqua quando piove. E neppure irregimentare le acque. Dobbiamo trovare soluzioni basate sulla natura, cioè fare in modo che il fiume si prenda i suoi spazi quando vuole e ne ha bisogno, lasciare liberi gli alvei e allargarli se serve. Non possiamo vincere la battaglia costruendo argini più alti e condotte.
Un’altra questione riguarda il Piano nazionale di adattamento, approvato alla fine dell’anno scorso dopo un iter infinito e mancanza di finanziamenti. Poi è stato messo in un cassetto e non è mai entrato nelle priorità del governo.
Deve essere finanziato e calato nelle realtà locali, che in Italia sono molto diverse l’una dall’altra. Ogni comune deve avere il suo piano di adattamento ai cambiamenti climatici: solo il sindaco sa dove quell’evento estremo può provocare danni e dove no. Ma i piccoli comuni non hanno i soldi e neppure le competenze per fare queste cose. Noi come comunità scientifica siamo disposti a dare una mano, ma bisogna fare in fretta.
Ma possiamo, potremmo tornare indietro?
Questi fenomeni ce li teniamo per i prossimi decenni. Abbiamo innescato un processo di riscaldamento globale che non fermeremo dall’oggi al domani. Se immettiamo nell’atmosfera 10 molecole di anidride carbonica oggi, tra cento anni ce ne saranno 3 o 4, tra mille anni ancora una. Questo vuol dire che dobbiamo smettere di emetterle perché questa concentrazione si stabilizzi e dobbiamo farlo subito. Lo stesso vale per i mari, che si riscaldano e si raffreddano più lentamente delle terre emerse. Questi sono fenomeni inevitabili e ce li teniamo. Dobbiamo però gestire l’inevitabile, con l’adattamento, ma evitare l’ingestibile con la mitigazione, cioè evitare di arrivare a scenari nei quali non potremo più difenderci.