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Virginia Ciaravolo è una psicoterapeuta dell’infanzia, adolescenza ed età adulta, oltre che criminologa, specializzata sui temi riguardanti la violenza di genere, e curatrice del volume La violenza di genere dalla A alla Z (Armando editore, pp 360, euro 18), recentemente presentato dallo Spi Cgil Parma, Si occupa anche della condizione delle donne più adulte. La giornata del 25 novembre fornisce l’occasione per rivolgerle alcune domande.
Come nasce l’idea di questo libro?
Si tratta di un lavoro corale, composto da 45 autori che trattano situazioni peculiari dal punto di osservazione del docente, dell’avvocato, dello psicologo, cercando di analizzare la realtà per offrire soluzioni. Ed è un manuale che nasce proprio durante la pandemia, prendendo forma quando con gli altri curatori ci siamo accorti che l’emergenza ha creato una pandemia nella pandemia: tra donne e minori abbiamo registrato un aumento di oltre 15.322 casi, circa il 19 per cento in più, con 15.280 chiamate tra marzo e giugno, e la maggior parte dei quesiti posti da queste chiamate riguardavano le vessazioni subite dalle donne.
Quali sono le urgenze da affrontare?
Mi viene subito in mente quanto recentemente dichiarato dalla senatrice Valeria Valente, presidente della Commissione d’inchiesta al Senato sul femminicidio, quando ci dice che ancora oggi il 65 per cento delle donne che subiscono violenze non parlano perché hanno paura. Quando ci riferiamo alla violenza di genere parliamo di un fenomeno sociale e culturale, soprattutto culturale. Un recente studio dell’Osservatorio Vox , l'Osservatorio Italiano sui Diritti, si è concentrato sugli insulti on line, e il 47 per cento di questi insulti sono diretti alle donne; le categorie più colpite sono professioniste impegnate in ambito politico, medico, scientifico, insultate con epiteti vari e variegati. Anche questo ci dice come ancora oggi sia importante andare a lavorare in senso culturale, tentando di arginare e modificare atteggiamenti diffusi, partendo dalle scuole.
A proposito di questo, viene da chiedersi se basta una giornata all’anno per intervenire concretamente nel cuore del problema...
Guardi, con me sfonda una porta aperta. Si va tanto nelle scuole, io sono la prima, aderisco agli inviti, c’è anche la voce di una dirigente scolastica nel manuale. Ma il problema sono le iniziative sporadiche, che a mio parere non portano da nessuna parte. Bisognerebbe pensare un percorso che duri tutto l’anno; anche per questo abbiamo pensato il volume sotto forma di vocabolario, come se ogni lettera fosse un ammonimento: dalla “a” di abusi alla “b” di buone prassi, alla “c” dei centri anti-violenza, e così via. Secondo me si deve creare un appuntamento permanente da fare almeno una volta al mese, per dare ai ragazzi contezza della gravità del fenomeno, e per un reale cambiamento
Il vostro libro si concentra anche sulle donne della terza età, recentemente avete organizzato degli incontri con lo Spi-Cgil...
Sì. Sappiamo che è aumentata di gran lunga l’età delle donne che denunciano, ma sono ancora poche. Non denunciano per timore, per vergogna, e in molti casi non si rendono conto che quello che accade sui loro corpi e le loro menti è un reato a tutti gli effetti. Le donne che denunciano aumentano come età perché preferiscono attendere che i figli diventino grandi, escano di casa, e allora a quel punto prendono coraggio e si separano. Aprire una finestra su questa fase particolare, in cui si smette di lavorare, non comporta solo protezione, e non deve essere lasciata in mano soltanto al mondo dell’associazionismo.
I dati del 2021 in Italia, a oggi, raccontano di 103 donne uccise. Numeri mostruosi, che fanno il paio con quelli riguardanti le morti sul lavoro. Quali e quante sono le responsabilità delle istituzioni?
Credo fortemente nel lavoro delle istituzioni, ma ci sono buchi e falle. Tra gli ultimi femminicidi di questo 2021, il colpevole era già stato fermato per lo stesso reato. Abbiamo il divieto di allontanamento, ma poi l’uomo non viene monitorato. Questo è un buco, dove si inserisce la violenza brutale maschile. Il codice rosso ha portato delle innovazioni importanti, sul revenge porn, ad esempio, o la condanna per le mutilazioni sul viso e il corpo delle donne con fuoco o acidi. Un altro passo avanti è anche il “reddito di libertà” previsto per i soggetti femminili più in difficoltà, di 440 euro per 12 mesi. Ma bisogna fermarsi e capire cosa non ha funzionato, e ancora non funziona.