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Quello delle cooperative sociali in’Emilia Romagna è un vero e proprio ultimatum. Ma non si tratta di una minaccia o della voglia di portare avanti una rivendicazione di settore. È piuttosto l’epilogo di una situazione sanitaria che sta precipitando. Nei giorni scorsi, attraverso la Lega delle cooperative e con il sostegno dei sindacati confederali di categoria, hanno infatti inviato una richiesta formale al governo e alle istituzioni regionali per sbloccare la fornitura di mascherine e presidi medici essenziali per lo svolgimento del lavoro degli operatori. “La situazione sta precipitando per due motivi – spiega Alberto Alberani, presidente regionale delle cooperative sociali e vicepresidente di Legacoopsociali nazionale – da una parte l’assoluta mancanza di mascherine e dall’altra il rischio contagio per le nostre operatrici socio-sanitarie che lavorano a contatto diretto con le persone. Da giorni stiamo lanciando un grido di allarme alla Regione perché la Protezione Civile sblocchi le mascherine che avevamo acquistato ma sono state poi dirottate verso gli ospedali”. Secondo Alberani, nella logica della centralizzazione dei poteri e nel coordinamento nazionale degli interventi, è giusto aver scelto di inviare le mascherine al “fronte”, ovvero negli ospedali che stanno combattendo il virus. Ma è anche giusto e necessario rifornire tutti quegli operatori che pur non operando negli ospedali sono comunque in trincea tutti i giorni. E che sono comunque degli “eroi”.
“Noi non vogliamo e non possiamo mandare al lavoro operatori che non siano messi in sicurezza. Si mette a rischio la loro salute, ma soprattutto quella degli utenti che sono spesso anziani e spesso affetti già da patologie croniche. I nostri presidenti delle cooperative rispondono penalmente e sono quindi molto preoccupati. Anche per questo, oltre ovviamente per la tutela dei lavoratori e delle lavoratrici, non possiamo permetterci di far lavorare le persone senza le sicurezze minime”. E non c’è solo carenza di strumenti. Comincia anche ad esserci anche carenza di personale. Ci sono infatti molte operatrici sociosanitarie che sono a casa ammalate, magari non perché sono state contagiate. Le cooperative chiedono quindi due cose: da una parte la possibilità di avere subito le mascherine per poter lavorare, dall’altra la possibilità di poter utilizzare anche altri lavoratori e lavoratrici nei vari servizi anche senza gli attestati. Ovviamente nei lavori che non implicano interventi sanitari.
Il presidente Alberani spiega che ci sono lavoratrici ausiliare e lavoratori senza il diploma di assistente o di infermiere che già operano nelle residenze e presso le famiglie nel lavoro minimo di sostegno alle persone non autosufficienti. Quello che si chiede è un rinforzo delle fila degli operatori per servizi di assistenza minima: dalla cura dell’igiene personale alla consegna dei pasti per gli anziani che non possono uscire di casa per fare la spesa. E oltre agli anziani c’è in gioco l’assistenza a centinaia di persone (anche giovani) che non sono autosufficienti e che hanno bisogno di essere seguite da personale qualificato. “Continuiamo ad avere fiducia – conclude Alberani – perché dopo aver lanciato il nostro grido di allarme abbiamo riscontrato un’attenzione massima e una collaborazione piena da parte prima di tutto della Regione Emilia Romagna. Anche con i sindacati confederali e di categoria abbiamo lavorato in perfetta sintonia con il Patto per il lavoro. Attendiamo quindi un segnale concreto e una notizia positiva. Altrimenti saremo costretti a scelte drastiche”.
La situazione drammatica dell’Emilia Romagna è però purtroppo generalizzabile. In tutto il Paese sono a rischio circa 200 mila posti di lavoro di persone che erogano servizi di welfare. Lo hanno scritto nei giorni scorsi Confcooperative, Federsolidarietà, Legacoopsociali, Agci Solidarietà, in un comunicato congiunto firmato anche dai sindacati di categoria Fp Cgil, Cisl Fp, Cisl Fisascat, Uil Fpl e UilTucs. La lettera è stata inviata al presidente del Consiglio, ai ministri del Lavoro e dell’Economia, ai presidenti della Conferenza Stato Regioni, dell’Anci e dell’Upi per lanciare l’allarme sui presidi sociosanitari, sociali ed educativi che il mondo della cooperazione sociale sta garantendo. “A seguito dei decreti emanati per fronteggiare il fenomeno del coronavirus – si legge nella lettera – le parti firmatarie del contratto nazionale di lavoro della cooperazione sociale segnalano con forza che accanto alla necessità di sostenere tutti i presidi sanitari, tema che il governo sta affrontando seriamente e con continuità, vi è anche l’esigenza parallela, non meno rilevante, dei presidi sociosanitari, sociali ed educativi che il mondo della cooperazione sociale ha garantito e che ora rischia il tracollo”. E si tratta appunto di servizi che hanno una finalità di interesse generale perché tutelano almeno 6 milioni di famiglie.