Si discute nella maggioranza sull’estendibilità della web tax, tassazione per i colossi del web, anche alle imprese italiane. Non è proprio chiaro con quali finalità, se è da considerarsi una riduzione d’imposta (difficile) o se invece è una sorta di tassazione degli “extraprofitti” per un “settore in crescita”. Per il ministro dell’Economia Giorgetti c’è la necessità di reperire risorse per sostenere la legge di bilancio, sarebbe anche logico andarle a prendere nei settori con maggiori marginalità e utili. Le domande sono: come? da chi? per quale scopo?

Lo abbiamo sempre detto: è indispensabile che quanto generato in ricchezza con le nuove tecnologie sia oggetto di redistribuzione, attraverso il sistema fiscale e attraverso il riconoscimento economico e professionale ai lavoratori. L’innovazione tecnologica e l’IA rischiano di divenire un ulteriore elemento generatore di diseguaglianze tra cittadini, tra Stati e continenti se non debitamente regolata.

Il problema è che lo sviluppo delle nuove tecnologie è dominato da poche grandi imprese multinazionali private statunitensi e pubbliche cinesi; in entrambi i casi con un sostegno delle due superpotenze che utilizzano questa posizione dominante per aumentare la propria egemonia globale. Questi colossi sono difficilmente imbrigliabili in regole definite a livello europeo, difficilmente contrastabili sul piano industriale vista “l’arretratezza tecnologica” e la dimensione d’impresa nei Paesi Ue. Quindi cosa fare?

La governance

Il tema fondamentale è quello della governance: la gestione, della transizione digitale e dello sviluppo dell’intelligenza artificiale nel nostro Paese e in Europa. L’Europa ha previsto circa 4 miliardi a livello comunitario per lo sviluppo dell’intelligenza artificiale nei prossimi anni: in Italia CdP Venture Capital, per il 2024-2028, investirà un miliardo attraverso il Fondo Artificial Intelligence per il sostegno la sistema industriale, somme che messe tutte assieme sono inferiori agli investimenti di un solo anno da parte di Microsoft.

Governance dell’IA significa determinare la regolamentazione, ma anche le politiche di sviluppo, investimenti e scelte industriali, per riuscire attraverso una tecnologia “proprietaria” a tutelare i propri cittadini - il trattamento dei dati personali - e determinare anche le dinamiche occupazionali sul proprio territorio nazionale.

Ebbene, nonostante il posizionamento ideologico del governo Meloni sta avvenendo esattamente il contrario. Guardando in dietro non si può neanche imputare tutto a quest’ultimo governo, perché già Draghi (ministro Colao), nonostante le risorse a disposizione col Pnrr sulla transizione digitale, circa 3 miliardi nel progettare il “cloud nazionale” o meglio Psn (Polo strategico nazionale), anche se il consorzio aggiudicatario era “italiano” Tim-Cdp-Leonardo-Sogei, l’infrastruttura è fornita da Google, Oracle e Microsoft.

Anche non volendo ritenere rilevanti gli ulteriori danni generati dall’aggiudicazione rocambolesca - il Consiglio di Stato ha dichiarato “in radice illegittima” l’aggiudicazione e probabilmente si dovrà indennizzare per milioni di euro il consorzio Fastweb, Aruba, Almaviva e IPZS –, la questione è che nonostante i miliardi a disposizione col Pnrr non si è voluto costruire un’infrastruttura realmente proprietaria, in grado di gestire dati sensibili delle amministrazioni, delle imprese e dei cittadini italiani senza l’intervento delle multinazionali statunitensi.

Veniamo all’oggi: nonostante il racconto patriottico della difesa dei confini, del made in Italy e senza dimenticare l’ennesimo processo di privatizzazione di aziende strategiche nazionali, è innegabile uno scambio con le grandi multinazionali che determinerà una dipendenza tecnologica strutturale del nostro Paese.

Dipendenza tecnologica e democrazia

Si è sottoscritto un grande accordo con Microsoft (4,3 miliardi) e attraverso varie amministrazioni altri contratti (ad esempio il Miur con Google), sia per la fornitura di tecnologie, che per la “formazione”. La strategia di queste grandi è quella di imporre, in ogni modo, i propri prodotti e i propri modelli per determinare il mercato globale.

Il definire accordi, anche con gli Stati, candidandosi a “sostenere” alcuni processi di sviluppo, sia nella pubblica amministrazione, sia per la formazione professionale, alfabetizzazione e scolarizzazione, a “basso costo” fa parte di questa strategia. Acquisiscono un mercato, divengono infrastrutturalmente indispensabili e sfruttano i dati raccolti (gratis), successivamente erogano a pagamento servizi per la gestione e l’aggiornamento continuo dei software. Altro che tecnologia nazionale e rientro dei cervelli: siamo alla colonizzazione tecnologica, senza avere idea di come l’immensa mole di dati raccolti, ceduti dalle imprese, dai cittadini, dalle pubbliche amministrazioni saranno utilizzati.

Il contratto tra governo e Microsoft

È interessante, ad esempio, leggere il contratto commerciale tra governo e Microsoft per vedere in trasparenza quale sia stato lo scambio economico tra le parti: 4,3 miliardi per avere cosa?

Leggendo quanto riportato da Microsoft, sappiamo che “Cloud Region ItalyNorth, principale hub europeo di Microsoft, fungerà anche da hub di dati chiave per il Mediterraneo e il Nord Africa, supportando il partenariato globale per gli investimenti, le infrastrutture, e il piano del governo sotto la presidenza del G7 per promuovere la collaborazione con il Sud del mondo. L’espansione del data center di Microsoft nel Nord Italia, unita all’impegno per fornire le giuste competenze legate all’Intelligenza Artificiale, supporta la crescente domanda di servizi cloud basati sull’AI in tutta Italia, rispondendo alle esigenze delle organizzazioni che ricercano maggiore produttività e innovazione.”

È stato chiaro il vice presidente di Microsoft, Brad Smith: “Questo investimento storico rafforza ulteriormente il nostro impegno di lunga data per la trasformazione digitale dell’Italia”. E ancora: “Ampliando l’accesso alla nostra tecnologia e promuovendo una diffusione delle competenze in materia di Intelligenza Artificiale, vogliamo fornire al Governo italiano, alle imprese e alla forza lavoro gli strumenti per costruire un’economia guidata dall’Intelligenza Artificiale che crei occupazione e prosperità” (qui altri dettagli dell’accordo).

Rischiamo di essere la provincia dell’impero

Leggendo quanto dichiarato e riportato sugli accordi con le grandi multinazionali, è chiaro che in un’ottica di riduzione dei costi e acquisizione di tecnologia diretta a supportare lo sviluppo del Paese, si rinuncia allo creazione di prodotti italiani o europei, si demandano pezzi di governo della “cosa pubblica” (sviluppo industriale, ricerca, educazione, formazione, alfabetizzazione, infrastrutturazione del Paese) a dei soggetti privati; i quali non si considerano sottoposi ai limiti della normativa europea (fisco e privacy), che acquisiranno dati strategici e renderanno indispensabile l’uso delle loro tecnologie, con quanto ne consegue in ottica di autonomia e processi democratici. In pratica, si stanno appaltando a delle multinazionali straniere processi essenziali per il Paese, ma questo purtroppo sembra tutto normale, pur di avere risorse da spendere qui e oggi.

Alessio De Luca, Responsabile Ufficio progetto lavoro 4.0 Cgil