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Poco prima di Natale, mentre il Parlamento era alle prese con la legge di Bilancio, Enrico Costa, deputato di Azione, ha presentato un emendamento alla legge di delegazione europea che mette il bavaglio alla libertà di informare e riduce il diritto ad essere informati, violando così interamente l’art. 21 della Costituzione. La Camera dei deputati ha dato il via libera al testo non solo con il voto favorevole della maggioranza di governo, ma anche con quelli di Azione e di Italia Viva dell’opposizione. Ora il provvedimento è al vaglio del Senato.
Cosa dice l’emendamento
Se la proposta di Costa diventasse legge, sarebbe vietato pubblicare “integralmente o per estratti” quanto contenuto nelle ordinanze di custodia cautelare fino a conclusione delle indagini o dell’indagine preliminare. In sostanza si impedisce il diritto di cronaca di giornalisti e giornaliste, si viola il diritto a essere informati di cittadini e cittadine e in qualche modo si violano i diritti degli indagati, perché i “si dice” sono cose assai diverse dalla trasparenza,
Contrari non solo i giornalisti
Sono i magistrati a sostenere che quella in attesa nella Commissione di Palazzo Madama è una norma niente affatto a garanzia degli indagati. Sostiene ad esempio Raffaele Cantone, procuratore della Repubblica a Perugia e in passato magistrato anticamorra: “Quando leggo che il divieto di pubblicazione dell’ordinanza rafforzerebbe la presunzione di innocenza dell’arrestato, non capisco il collegamento. La presunzione di innocenza è fornire una informazione corretta per evitare che si formino pregiudizi. Quindi è il contrario. Una informazione incompleta potrebbe produrre danni all’indagato impedendo di riferire elementi utili alla sua difesa, al contesto in cui ha agito. La completezza dell’informazione è la migliore garanzia per tutti: per l’opinione pubblica, per l’indagato, per le parti offese”.
La petizione
È stata promossa e lanciata dalla Rete No Bavaglio a sostegno della mobilitazione lanciata da Fnsi, Usigrai e Ordine nazionale dei giornalisti. L’obiettivo è netto: si chiede che il Parlamento non approvi il testo dell’emendamento Costa, e al presidente Mattarella di non firmare la norma se malauguratamente fosse varata. L’appello è rivolto al “mondo dell’informazione, della cultura, della società civile, ai sindacati, alle reti sociali, a tutti i cittadini che hanno a cuore la libertà di informazione e il diritto a essere informati”. Marino Bisso, mente, braccia e cuore della Rete No Bavaglio, si definisce “un operaio del giornalismo innamorato della libertà”, e racconta: “Abbiamo lanciato la petizione con le nostre sole forze, nei primi giorni erano circa 200 le persone che firmavano, nella sola giornata di oggi ne abbiamo raccolte oltre 6.000. Penso che si stia capendo che quell’emendamento non riguarda solo i giornalisti, gli effetti che quella norma produrrebbe riguarderebbe tutti e tutte”.
Firmare è facile, basta cliccare qui.
Il sindacato c’è
La firma l’ha apposta il segretario generale della Cgil Maurizio Landini, a nome suo e dell’organizzazione, e poi Stefano Milani ha sottoscritto per sé e per tutta la redazione di Collettiva. Con loro, tra gli altri, l’Associazione Articolo21, Libera lnformazione, Cgil, Arci, Libera, Legambiente Libertà e Giustizia, Ordine dei giornalisti del Lazio, Associazione Nazionale Giuristi Democratici, Collettiva, MoveOn Italia, Associazione Stefano Cucchi, Free Assange Italia, Coordinamento per la democrazia costituzionale, Udu Roma, Gay Net, Stampa Critica, Assopace Palestina, Fillea Cgiil Roma Lazio, Anpi G. Matteotti Flaminia-Tiberina, Anpi Teresa Noce Fiano Romano, InLiberaUscita, Agenzia Pressenza, Reti di Giustizia, Obct Transeuropa, Associazione Senza Paura, Associazione Coordinamento Antimafia Anzio Nettuno, Associazione Socio-Culturale Nawroz, Bibliopop, TastoRosso, Uisp, Stampa Romana, Sindacato Cronisti Romani e Giornale Radio Sociale.
Tanti i tentativi di limitare la libertà di informazione
Da settimane, però, è come se si fosse “scatenata” una vera e propria azione concentrica per limitare la possibilità di informare, oltre che il diritto a conoscere quel che accade. Dalle norme per limitare l’uso e la pubblicazione delle intercettazioni fino agli attacchi scomposti nei confronti di giornalisti, trasmissioni di inchiesta come Report e gruppi editoriali. Fino all’invio delle veline stile mattinale di antica memoria, per indicare a colleghi di partito come comportarsi e alle testate amiche cosa dire degli operatori dell’informazione.
Dice ancora Bisso: “La Rete nacque nel 2015 quando con Stefano Rodotà scrivemmo un appello contro il tentativo di impedire la pubblicazione delle intercettazioni. Allora a Palazzo Chigi c’era Matteo Renzi. Si ha la sensazione che in Italia esista una specie di partito trasversale che vuole silenziare quell’informazione d'inchiesta che dà fastidio, che non è patinata, e allora si prova a delegittimare giornalisti e gruppi editoriali che si ritiene non favorevoli al governo”.
Grande l’allarme anche in Europa
Dominique Predalié dell’International Federation Of Journalist ha affermato in una intervista a Repubblica: “Trovo scandalose le dichiarazioni della premier italiana. Quando si è ai vertici dello Stato è particolarmente grave prendersela direttamente con un editore e una redazione”. E lancia un vero e proprio allarme perché vede avanzare “una deriva liberticida” nei confronti della stampa in Europa che a suo giudizio “coincide con l’ascesa al potere di dirigenti di estrema destra”. Preoccupazione condivisa da Carlo Bartoli, presidente dell’Ordine dei giornalisti, e dalla segretaria della Fnsi Alessandra Costante, che sempre sul quotidiano fondato da Eugenio Scalfari hanno sottolineato i rischi che corre la democrazia del Paese se il diritto ad essere informati viene via via limitato.
Lo scenario
È sempre Bisso a ricordare che quello dell’editoria è in realtà un settore debole, sono sempre meno i giornalisti con un contratto a tempo indeterminato con redazioni forti alle spalle, sono sempre più i precari e i freelance. “Negli ultimi 15 anni – ricorda – sono sparite testate e migliaia di posti di lavoro. Così si mina il pluralismo e si rendono più fragili i colleghi che sono anche spesso vittime di querele temerarie. Stiamo arrivando al punto che potrà fare il giornalista solo chi è ricco di famiglia e potrà permettersi di guadagnare poche centinaia di euro al mese”
Come reagire
Facendo crescere la consapevolezza che a rischio è la qualità della democrazia nel nostro Paese, ricordando un principio caro proprio a Stefano Rodotà: “L’informazione è un bene comune” e come tale va tutelato. “L’informazione può essere buona o cattiva – chiosa Bisso – ma senza libertà è sicuramente cattiva perché condizionata da quei poteri forti che non sempre agiscono per il bene comune. Questo dobbiamo riuscire a fare capire ai cittadini e alle cittadine: non poter conoscere, non poter essere informati in modo adeguato espone a un rischio molto elevato”. E allora buona firma a tutti e tutte, buona mobilitazione collettiva in difesa della libertà di informazione, della libertà di essere informati così come la Costituzione prescrive.