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La cura che servirebbe al Paese è correggere lo squilibrio che nel tempo si è determinato tra i poteri dello Stato, tornando alla centralità scritta nella Carta del 1948. Lo sostiene Gaetano Azzariti, professore ordinario di Diritto costituzionale alla facoltà di Giurisprudenza dell'Università di Roma La Sapienza. A suo parere l’autonomia differenziata creerebbe un nuovo centralismo competitivo e non solidaristico, inoltre il presidenzialismo svuoterebbe di poteri e funzioni il presidente della Repubblica. Servirebbe, invece, il riequilibrio dei poteri a favore del Parlamento.
La Repubblica, secondo la Costituzione, è una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali. In che rapporto questo dettato costituzionale è con l'autonomia differenziata del governo?
Il limite costituzionale maggiore della riforma dell’autonomia differenziata è che essa pretende di isolare il terzo comma dell'articolo 116, promuovendo un trasferimento alle Regioni di una quantità di materie, senza considerare il contesto costituzionale all'interno del quale opera. Un contesto costituzionale che, in primo luogo, è quello definito dai principi fondamentali, tra questi ovviamente l'articolo 5, cui facevi riferimento. Una disposizione che pone una precisa condizione che, a mio parere, non sembra sia stata valutata adeguatamente dal ministro Calderoli.
Qual è questa condizione?
L'unità e indivisibilità della Repubblica sono il presupposto che è necessario assicurare per poter poi devolvere le materie; pertanto, non dovrebbero essere ammessi trasferimenti che rischiano di dividere il Paese. Per valutare in concreto tale rischio si devono considerare non solo l’articolo 5, ma – ancora una volta – il sistema costituzionale nel suo complesso. A cominciare dall’articolo 2, che afferma che i diritti inviolabili dell’uomo devono essere riconosciuti e garantiti, ovviamente su tutto il territorio nazionale. Non ci si può dunque accontentare di definire solo i livelli essenziali delle prestazioni, senza potersi assicurare che essi possano essere poi di fatto garantiti.
In questo senso, allora, crediamo che vada considerato anche l'articolo 3...
Esatto, c’è una terza condizione che deve essere valutata per poter devolvere le funzioni. È appunto contenuta nell’articolo.3, il principio di eguaglianza formale e sostanziale, che deve essere garantito su tutto il territorio nazionale e che rappresenta un ostacolo alla devoluzione senza solidarietà territoriale.
In sostanza, non basta far riferimento all’articolo 116 per introdurre l’autonomia differenziata?
Direi di no. Faccio un ultimo esempio per dimostrare come in realtà tutti i 139 articoli della Costituzione dovrebbero essere considerati per capire qual è il tipo di regionalismo che dovremmo adottare. Nell’articolo 119, quello sul cosiddetto federalismo fiscale, ci sono alcune disposizioni, contenute nel secondo e nel quinto comma, che impongono una redistribuzione delle risorse a favore dei territori con minore capacità fiscale. Insomma, la Carta stabilisce alcune priorità: prima di devolvere funzioni a favore di regioni “ricche”, occorre attivare i meccanismi di coesione e solidarietà per rimuovere gli squilibri economici e sociali.
La riforma Calderoli sembra andare in direzione opposta...
Sì, la mancanza di questo tipo di valutazioni è proprio il difetto maggiore della riforma. La logica che prevale mi sembra essere di natura “appropriativa”. Si pensi al fatto che la Regione Veneto ha chiesto che le venissero devolute tutte le possibili materie, senza alcuna considerazione sul merito di una gestione diretta di alcune tra queste. Che senso ha, mi chiedo, la regionalizzazione della distribuzione dell’energia se non quello di volersi appropriare di tutte le materie possibili, in chiave appunto “appropriativa”?
Qual è, invece, l'idea di regionalismo o collaborazione con le autonomie che la Carta del 1948 prefigura?
Esistono fondamentalmente due modelli di regionalismo, quello competitivo e quello solidale. La Costituzione prevede, anzi impone, un regionalismo di tipo solidale. Entro questo modello è intuitivo che alcune funzioni amministrative devono essere svolte a livello regionale: far funzionare un ospedale sarà diverso a Bolzano o a Lampedusa. Un analogo ragionamento può valere anche per la scuola o i servizi sociali. Una gestione delle amministrazioni locali necessaria proprio per meglio garantire quei diritti che ospedali, scuola e servizi sociali devono assicurare in concreto e su tutto il territorio nazionale. La Carta riconosce in proposito che è opportuno che siano gli enti più vicini ai cittadini e alle cittadine a erogare le prestazioni necessarie a garantire i diritti (principio di sussidiarietà).
Anche su questo punto la riforma Calderoli sembra andare in direzione opposta.
Sicuramente. La riforma dell'autonomia differenziata si discosta dal modello costituzionale complessivo. Mentre il modello costituzionale punta all’integrazione delle funzioni tra i diversi livelli di governo (Stato, Regioni, Città metropolitane, Province, Comuni), quello del Governo Meloni punta alla concorrenza tra lo Stato e le Regioni, creando una nuova forma di centralismo, quello regionale.
È stata istituita una commissione che dovrebbe definire i Livelli essenziali delle prestazioni e il loro finanziamento. Questa Commissione ci pare in stallo: è ipotizzabile pensare all'approvazione dell'autonomia differenziata se non vengono definiti e finanziati i Lep?
Ovviamente no, ma dirò di più. Anche qualora la Commissione dovesse definire i Lep – un esito che dovrà essere valutato – non sarà comunque un risultato sufficiente. Basta leggere la Carta per capire che non si tratta tanto di determinare i Livelli essenziali delle prestazioni, quanto di garantirli in concreto. Non ci vuole un costituzionalista per comprendere che occorre una successiva redistribuzione delle risorse. Sia nella ultima legge di bilancio sia nel dl in discussione è invece scritto che è sufficiente definire i Lep a invarianza finanziaria. Una confessione di non voler dare seguito agli impegni conseguenti.
C'è chi afferma che a garantire l'indivisibilità della Repubblica sarebbe l’introduzione del presidenzialismo, è davvero così?
L’accoppiata autonomia più presidenzialismo rende esplicito che ci stiamo dirigendo verso un altro sistema costituzionale. Modificare la forma di Stato da unitario a regionale, e quella di governo, da parlamentare a presidenziale, trasforma dalle radici la nostra democrazia costituzionale. Per quanto riguarda la forma di governo non è per nulla chiaro verso quale modello ci si voglia indirizzare: quello statunitense, quello francese, ovvero la cosiddetta elezione del sindaco d'Italia. Dimostrando così lo stato di confusione dell’attuale maggioranza.
E che fine farebbe, allora, il capo dello Stato?
Quel che può dirsi sin da ora con certezza è che in ogni caso verrebbe meno l’unico organo che in questi anni ha garantito l'equilibrio costituzionale: il presidente della Repubblica. Non solo se venisse eletto direttamente, ma anche nel caso di elezione diretta del capo dell’esecutivo con potere di nomina dei ministri e di scioglimento delle Camere. Questo modello finirebbe per svuotare dall’interno i poteri del nostro presidente della Repubblica, lasciando solo il simulacro dell’attuale organo di garanzia. Quel che servirebbe, invece, sarebbe un riequilibrio generalizzato dei poteri, non tanto a favore dell’esecutivo, quanto a favore del Parlamento, il vero malato da curare nella nostra democrazia squilibrata.