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Il rapporto tra scuola e lavoro va rivisto dalle fondamenta. E non importa che l’alternanza scuola-lavoro – diventata obbligatoria nel 2015 con la legge 107 – si sia trasformata nel 2018 nei Pcto (Percorsi per le competenze trasversali e l’orientamento). Perché la sostanza non cambia. I percorsi sono troppo spesso inadeguati, frequentemente mascherano un vero e proprio rapporto di lavoro e, negli esiti più tragici, hanno anche portato alla morte dei ragazzi che vi erano impegnati, come purtroppo ci ricorda la cronaca dello scorso anno, con la tragica morte di Lorenzo Parelli, Giuliano De Seta e Giuseppe Lenoci.
Questo i sindacati diranno oggi (26 gennaio) nel corso dell’incontro sul tema con il ministro Valditara che però, spiega Christian Ferrari, segretario confederale della Cgil, “vorrebbe limitare il ragionamento alla questione della sicurezza, cosa ovviamente fondamentale, ma certo non sufficiente: per noi l’impianto va totalmente rivisto e per questo chiederemo al governo un confronto complessivo sul tema”.
Pcto: così non va
Ciò che la comunità educante contesta infatti ai Pcto è di essere prevalentemente pensati per sviluppare negli studenti competenze tecnico-operative. Il tutto in vista, aggiunge il sindacalista, “di una immediata occupabilità in funzione delle esigenze produttive e competitive delle aziende e del sistema economico, ma trascurando la valenza formativa e didattica di un’esperienza che non può essere limitata alla sola dimensione lavorativa e occupazionale, ma che deve essere finalizzata alla conoscenza e alla crescita integrale della persona”.
In questo quadro, commenta la segretaria confederale della Cgil, Francesca Re David, “uno degli aspetti maggiormente critici che è emerso con forza è quello relativo alle condizioni di sicurezza in cui si svolgono i Pcto. Purtroppo i numerosi infortuni, in alcuni casi anche mortali, a danno degli studenti stanno a dimostrare l’estrema inadeguatezza delle misure di sicurezza adottate”.
Sulla stessa lunghezza d’onda gli studenti: “Il vero problema è il modo in cui si è pensato il rapporto tra scuola e lavoro – commenta Paolo Notarnicola, coordinatore della Rete degli studenti medi – che deve essere ripensato a partire dalla funzione della scuola di eliminare le disuguaglianze e formare il cittadino prima che il lavoratore. In questo senso è prioritario che a scuola vengano insegnati i diritti dei lavoratori, come funziona un contratto, come contrastare il lavoro nero. Allo stato attuale la scuola queste domande non se le pone, il che è assurdo”.
Una cosa, in ogni caso, deve essere chiara: “Studenti e studentesse non devono lavorare. È chiaro che nei tecnici e nei professionali c’è necessità di un ‘avvicinamento’ maggiore al lavoro, ma questo non vuol dire essere in produzione”, sottolinea Notarnicola.
Le proposte per cambiare
In questo quadro i sindacati recapiteranno al governo una serie di proposte dettagliate. Tra queste da segnalare l’abolizione dell’obbligatorietà dei Pcto e, come prima tappa, l’eliminazione del monte ore obbligatorio, in modo da affidare alle scuole piena autonomia di progettazione; l’introduzione di dispositivi chiari che evitino che tali percorsi possano mascherare rapporti di lavoro subordinato o parasubordinato gratuito; vietare l'utilizzo di studenti in mansioni lavorative in sostituzione di specifiche posizioni professionali; istituire un registro delle imprese idonee a ospitare i percorsi; investire in formazione in materia di sicurezza per tutti i soggetti coinvolti; assicurare durante le attività degli alunni in azienda la presenza del tutor aziendale; garantire che la scuola e il tutor scolastico possano vigilare affinché le condizioni di sicurezza siano sempre assicurate; prevedere un ruolo delle organizzazioni sindacali e Rsu, del tutto assenti nella normativa.
Sono proposte, come si vede, a carattere costruttivo perché i sindacati, concludono Ferrari e Re David, “ribadiscono la centralità dell’esperienza concreta nell’apprendimento che è anche da ricollocare all’interno del sistema di istruzione attraverso il ripristino delle ore di laboratorio tagliate dalla riforma Gelmini”. Riforma – con i relativi tagli, appunto – che ha avuto tra i suoi estensori proprio il ministro Valditara.