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Sul Corriere della sera del 16 dicembre 1969 si leggeva:
Drammatico colpo di scena, questa notte, nel corso delle indagini sulla strage di Piazza Fontana - - Alle ore 23.50 uno degli indiziati che si trovavano da venerdì a disposizione della polizia si è ucciso gettandosi da una finestra del quarto piano di via Fatebenefratelli mentre veniva interrogato. Era un ferroviere di 41 anni: Giuseppe Pinelli, sposato con due figlie, abitante in via Preneste 2, oltre San Siro. Faceva il frenatore allo scalo delle ferrovie dello Stato a Porta Garibaldi e la questura lo definisce ‘anarchico individualista’. Portato in gravissime condizioni all’ospedale Fatebenefratelli, è morto alla una e cinquanta (…) “I suoi alibi erano tutti caduti ed era fortemente indiziato” ha dichiarato subito il questore di Milano dottor Marcello Guida1.
Il questore ha aggiunto: “Aveva presentato un alibi per venerdì pomeriggio ma questo alibi era caduto completamente2. Nell’ultimo interrogatorio il funzionario dottor Calabresi aveva allora momentaneamente sospeso l’interrogatorio per andare a riferire al capo dell’ufficio politico dottor Allegra. Col Pinelli erano rimasti nella stanza tre sottufficiali di polizia e un ufficiale dei carabinieri che assistevano all’interrogatorio”. “Improvvisamente - ha proseguito il dottor Guida - il Pinelli ha compiuto un balzo felino verso la finestra che per il caldo era stata lasciata socchiusa e si è lanciato nel vuoto.
La famiglia viene avvisata dell’accaduto da alcuni giornalisti: Camilla Cederna, Giampaolo Pansa, Corrado Stajano. La moglie Licia chiama in questura. Vuole sapere perché non l’hanno avvisata. “Non avevamo tempo”, è la risposta.
La lunga battaglia per la verità su Giuseppe Pinelli
È così che ha inizio così la sua - e non solo sua3 - lunga battaglia per sapere non solo la verità sulla morte del marito, ma per difenderne la memoria.
“Non raggiungere la verità giudiziaria è una sconfitta dello Stato - dirà anni dopo - È lo Stato che ha perso appunto perché non ha saputo colpire chi ha sbagliato. Perché in un modo o nell’altro, voglio dire direttamente o indirettamente, Pino è stato ucciso. (…) Non è una questione di vincere o di perdere: semplicemente uno Stato che non ha il coraggio di riconoscere la verità è uno Stato che ha perduto, uno Stato che non esiste”.
Uno Stato al quale la famiglia Pinelli non smetterà mai di chiedere verità e giustizia. Verità e giustizia ancora oggi non ottenute.
Le scuse per l'ingiustizia subita
Dopo più di cinquanta anni, però, sono finalmente arrivate, attraverso le parole del suo primo cittadino, le scuse della città di Milano.
“Il senso di ingiustizia ti rimane dentro - diceva nel dicembre del 2019 Beppe Sala piantando un albero intitolato alla memoria di Pino - e allora, posto che ingiustizia c’è stata, la mia presenza qua oggi ha soprattutto il significato di chiedere scusa e perdono a nome della città per quello che è stato. Credo che sia qualcosa che sentiamo tutti noi profondamente e credo che sia qualcosa che vada fatto. Quindi in primis esprimo la nostra richiesta di perdono alla famiglia Pinelli”.
Pino “Era uno dei cittadini che faceva il suo dovere e si impegnava politicamente. La Milano di oggi è anche figlia della figura di Pinelli, di quello che ci ha lasciato e di quello che abbiamo imparato. Non è mai tardi per imparare e io dalla sua storia penso di avere imparato molto”.
1 Il 27 dicembre Licia Rognini Pinelli denuncia il questore Marcello Guida, già funzionario fascista e direttore del confino di Ventotene, per diffamazione e il 24 giugno 1971 accuserà il commissario Calabresi e tutte le persone presenti in questura la notte del 15 dicembre di omicidio volontario, sequestro di persona, violenza privata e abuso di autorità. Il 27 ottobre 1975 il giudice istruttore Gerardo D’Ambrosio archivierà le denunce escludendo sia il suicidio che l’omicidio e motivando la morte come un “malore attivo”. Tutti gli indiziati saranno prosciolti.
2 Sul Giornale del 24 ottobre 1980 Montanelli scriveva di aver saputo, undici anni prima, cioè subito dopo la strage di Piazza Fontana, che Pinelli, informatore della polizia, aveva confidato al commissario Calabresi il fatto che gli anarchici stavano preparando “qualcosa di grosso”. Poi, quando Calabresi (che ovviamente aveva registrato tutto) gli aveva fatto sentire il nastro, Pinelli, non resistendo all’idea che i suoi compagni lo qualificassero come delatore, si sarebbe gettato dalla finestra.
Quando poco dopo durante il processo d’appello di Catanzaro verrà chiamato a rispondere delle sue affermazioni in tribunale, il giornalista chiederà scusa ammettendo di essersi sbagliato, di aver capito male, di non essersi espresso bene, di essersi addirittura inventato particolari rilevanti. “Una figuraccia - scriverà l’Unità - Partito con baldanza il 24 ottobre scorso con un articolo di fondo per rivelare « clamorose » novità sulla fine tragica dell’anarchico Pinelli, Indro Montanelli, comparso ieri di fronte ai giudici della corte d’appello di Catanzaro ha dovuto più volte chiedere scusa, ammettere di essersi sbagliato, di avere capito male, di non essersi espresso bene, di essere, insomma, un pessimo informatore. Per uno che passa per essere un «principe del Giornalismo» deve essere stata una gran brutta giornata”.
3 Nei mesi successivi alla morte di Pinelli il ‘Comitato cineasti contro la repressione’ raccoglierà numerosi materiali per la realizzazione di un lungometraggio sulla vicenda. L’opera sarà portata a termine da due gruppi di lavoro coordinati da Elio Petri e Nelo Risi. Il film, composto da due parti: Giuseppe Pinelli, diretto da Risi, e Ipotesi su Giuseppe Pinelli, anche conosciuto come Tre ipotesi sulla morte di Giuseppe Pinelli, diretto da Petri, vedrà la luce nel 1970. Alla vicenda si ispirerà anche l’opera teatrale di Dario Fo: Morte accidentale di un anarchico. Decine saranno i libri, i filmati, le opere teatrali, le installazioni artistiche, le canzoni dedicate a Pinelli e al suo assassinio, non solo in Italia.