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Il 25 aprile sarà dedicato alla memoria e all’impegno per la pace. L’associazione nazionale dei partigiani scenderà nelle piazze italiane non solo per celebrare la giornata della Liberazione ma con l’obiettivo di farne uno stimolo affinché si ritorni a una politica capace di ricomporre i conflitti. L’eco della guerra in Ucraina è forte nelle parole del presidente Gianfranco Pagliarulo, finito sotto attacco assieme all’Anpi per le posizioni espresse sul conflitto.
“Posizioni di semplice buon senso – ci dice – eppure, nelle ultime settimane, abbiamo subito una serie di attacchi di una violenza e di una volgarità stupefacenti. Ho scoperto, tanto per fare un esempio, di essere ‘putiniano’. Credo che sia un segno dei tempi e dell’imbarbarimento del dibattito pubblico. "Abbiamo comunque ricevuto una valanga di messaggi di solidarietà. La nostra associazione è profondamente unita, alimentata dalla discussione e dalle differenze di opinione che sono benvenute secondo i principi della democrazia organizzata”.
Come si “resiste”, allora, alla guerra secondo l’Anpi?
Cercando un tavolo di trattative. Una necessità diventata sempre più urgente. Vediamo, però, con allarme che sta accadendo esattamente il contrario con scelte e comportamenti che spingono al prolungarsi delle ostilità e a un riarmo generalizzato come avvenne prima della prima e della seconda guerra mondiale. Tutto ciò inasprisce le tensioni. Ci chiediamo come sia possibile non comprendere che si sta innescando una reazione a catena apocalittica che potrebbe portare a una catastrofe di cui nessuno è in grado di prevedere gli esiti.
Per questo l’Anpi si è dichiarata contraria sia all’invio delle armi in Ucraina, sia alla decisione di aumentare il budget militare del nostro Paese al 2%?
Lo abbiamo fatto per una ragione fondamentale: siamo convinti che questi atti contribuiscano a un’ulteriore e rapida escalation del conflitto. È possibile un nuovo Afghanistan nel cuore dell’Europa ovvero uno scontro militare fino allo sfinimento delle parti con un numero incalcolabile di vittime. Noi pensiamo che da questa situazione così grave derivi l’urgenza di un rafforzamento dell’unità e del dialogo tra tutte le forze di pace e antifasciste del nostro Paese per abbassare la tensione e ricercare la via del negoziato.
“L’Italia ripudia la guerra” è scritto sul manifesto Anpi che annuncia il 25 aprile, duramente bersagliato dalle critiche per la disposizione delle bandiere esposte sui balconi e pure per il riferimento all’articolo 11 della Costituzione di cui si cita solo la prima parte.
La polemica sulla disposizione delle bandiere è stata davvero grottesca. Anzi colgo l’occasione per ringraziare ancora una volta la bravissima Alice Milani che ha firmato quel manifesto. In ogni caso, noi abbiamo scelto di titolarlo “L’Italia ripudia la guerra” per ricordare che nella nostra Costituzione la parola “Italia” è citata solo in due occasioni: all’articolo 1 e all’articolo 11, mettendo così in luce due caratteri irreversibili della nostra Repubblica e cioè la pace e il lavoro.
Il 25 aprile a Milano e nelle altre piazze italiane si manifesterà per la pace ma anche per ricordare che l’impegno antifascista continua. Non possiamo dimenticare che gli episodi di attacchi, violenze e atti che si richiamano direttamente al Ventennio sono in aumento.
Esattamente, e l’enorme tragedia internazionale che stiamo vivendo non può e non deve farci ignorare i problemi interni al nostro Paese, mi riferisco in particolare all’assalto alla sede della Cgil del 9 ottobre scorso. Da allora l’Anpi ha lavorato a due leggi: una che renda penalmente perseguibili i reati legati a comportamenti che si richiamano al fascismo e al nazismo e l’altra che modifichi l’ordinamento della toponomastica vietando l’intestazione di spazi pubblici a personalità che hanno avuto un ruolo attivo e dirigente nel ventennio. Sul terreno dello scioglimento delle organizzazioni neofasciste, pur previsto dalla legge Scelba del 1952, invece registriamo uno stallo. Lo scorso dicembre, insieme a Cgil, Cisl, Acli, Libera, Arci, abbiamo incontrato i rappresentanti del governo ma questo incontro ancora non ha dato un esito positivo. Dobbiamo insistere e insisteremo perché quello che è accaduto alla sede della Cgil è stato un punto di non ritorno e, per parafrasare una citazione che ben conosciamo, se è già successo, può succedere di nuovo.
Più volte lei ha enfatizzato la necessità di tenere unite le forze antifasciste e democratiche del Paese, soprattutto in questa fase storica così complessa. Eppure, a Roma, ormai dal 2014, alla manifestazione del 25 aprile la comunità ebraica non parteciperà. Una rottura dolorosa quella con la comunità che anche in questi giorni ha espresso, attraverso la presidente Dureghello, il suo scetticismo rispetto alle posizioni espresse dall’Anpi sulla guerra in Ucraina. Cosa pensate di fare per risanare questa frattura?
Ho scritto una lettera alla Presidente Dureghello chiedendole un incontro. Per risanare la frattura occorre la disponibilità di tutti.
Il 25 aprile celebra la Liberazione e la Resistenza. In molti in queste settimane hanno azzardato il paragone tra la Resistenza partigiana e quella ucraina.
A nostro parere è giusto chiamare la lotta armata degli ucraini una lotta di resistenza, in base alla definizione statuita nella Carta delle Nazioni Unite scritta dopo la fine della Seconda guerra mondiale. Detto questo, sarebbe sbagliato identificare la Resistenza italiana con quella ucraina. Per essere chiari: ovunque uno Stato aggredisca un altro Stato si crea una lotta di resistenza, ma questo non la rende automaticamente simile alla Resistenza italiana che si è svolta in un contesto completamente diverso. Lo dico per sottolineare che quando affrontiamo questi temi di carattere storico-politico dobbiamo saper cogliere le affinità sì, ma anche le differenze. Per esempio, davanti alla nostra contrarietà all’invio delle armi in Ucraina ci è stato obiettato che i nostri partigiani senza le armi degli alleati non avrebbero potuto lottare, ebbene i nostri partigiani ricevevano le armi da nazioni che erano formalmente in guerra contro nazisti e fascisti, l’Italia non è in guerra contro la Russia. Non siamo mai stati equidistanti nella tragedia di questa guerra. Eravamo e siamo dalla parte degli aggrediti contro gli aggressori. Per questo motivo, alla manifestazione nazionale del 25 aprile a Milano proverò a portare parole di condanna dell’invasione, di pace e di unità non dimenticando i ripetuti appelli di papa Bergoglio.