Cristian Fracassi ha un'aria asburgica. Occhi di ghiaccio e nemmeno un capello fuori posto. È un ingegnere-architetto di 38 anni, e l'accento tradisce subito le sue origini. Ha uno sguardo mobilissimo, come quello di un uccello: si sposta su ogni cosa senza sosta. Alle sue spalle c'è una scritta, in bianco su fondo nero. È una frase di Thomas Edison, l'inventore della lampadina: “Le idee, senza la loro esecuzione, sono allucinazioni”. E qui, tra i palazzoni di vetro di Brescia Due, all'ombra delle sedi di cemento delle grandi banche e di quella enorme della Confindustria locale, osservando aiuole senza un filo d'erba più lungo degli altri e lo scorrere nervoso del traffico, è anche più facile crederlo.
Isinnova, la sua creatura, sette anni fa era una piccola start-up di prototipazione digitale. Realizzava oggetti che prima non c'erano con stampati 3d, macchine a taglio laser e altri apparecchi a controllo numerico. Oggi è un'azienda vera e propria, con 18 dipendenti, tutti giovani dai 22 ai 33. Fracassi è il più vecchio. Le pareti sono ricoperte di lamine di legno tondeggianti. Nel laboratorio ronzano una stampante e una macchina a taglio laser. Ragazzi e ragazze in jeans e maglietta disegnano frenetici ai computer, o armeggiano intorno a quegli strani, ingombranti macchinari. Il lavoro freme, si direbbe. In effetti negli ultimi due anni, quelli della pandemia, Isinnova è diventata famosa nel mondo, così come il suo fondatore, che è stato anche insignito dal presidente Mattarella della medaglia di Cavaliere al merito.
Tutto è cambiato grazie a una valvola. Era il marzo 2020, Brescia era nel pieno della prima ondata di Covid. Negli ospedali non c'erano più letti disponibili, i malati aumentavano ora dopo ora. E, soprattutto, mancavano i respiratori e i caschi per la terapia intensiva. “Un giorno ricevo una telefonata dalla direttrice del Giornale di Brescia Nunzia Maldini, che mi chiede se ho ancora le stampanti 3d accese per dei piccoli pezzi di plastica che servivano a degli ospedali - ricorda Fracassi, e si capisce che questa storia l'ha già raccontata mille volte -. Allora mi metto in contatto direttamente con l’ospedale di Chiari: erano rimasti senza valvole Venturi, quelle che servono a collegare le maschere ai respiratori. Per 122 pazienti ricoverati, gliene erano rimaste solo 20. Allora vado in ospedale, prendo una valvola usata, la sterilizzo e torno in ufficio. In poche ore, con il mio team, l'abbiamo ridisegnata in 3d e stampato un prototipo”. L’ospedale lo testa, e dopo un po' chiama per dire che funziona, e che ne vuole altre 100. “Così, ci mettiamo subito al lavoro. Andiamo avanti per tutta la notte, e la domenica mattina gliele consegniamo”.
Fracassi a quel punto deve aver pensato che il suo lavoro fosse ormai finito. Tornato a casa da sua moglie, si fa una doccia per togliersi di dosso quel senso di morte che a Brescia si respirava a fondo in quel periodo, e si rilassa sul divano. Dopo un po', però, riceve un'altra telefonata. “Vengo contattato da un medico in pensione, il dottor Renato Favero. Ci diamo un appuntamento, e il giorno dopo viene qui. Ci fa una lezione sui polmoni e il loro funzionamento. Poi tira fuori dallo zaino una maschera da snorkeling e la posi sul tavolo. E dice: l’ho usata al mare, secondo me può andare bene come maschera respiratoria. Voi che siete degli ingegneri potete studiare come farlo.”
Di nuovo al lavoro, allora. Di nuovo al computer e alla stampante 3d. In poche ore viene tirata fuori una valvola che s'aggancia perfettamente al boccaglio. Tre giorni di test e poi via in corsia. “Tutto è successo in fretta e in modo davvero poco tradizionale. Non avevamo tempo perché sapevamo che della gente stava morendo”. L’idea di Isinnova, però, riesce a dare ossigeno ai pazienti, e tregua agli ospedali bresciani. Poi la voce si sparge, e incominciano a fioccare le richieste. “Non ci saremmo mai riusciti da soli. Allora abbiamo deciso di pubblicare il file di stampa gratis online, per permettere a tutti di produrre quella che abbiamo battezzato la valvola 'Charlotte'. Questo ci ha permesso di arrivare in Brasile, in Argentina, in Burundi, in Uzbekistan. Abbiamo toccato mezzo mondo con oltre 180mila pezzi, solo 15mila per gli ospedali italiani. Il tutto in pochissimo tempo”. Isinnova conta di aver stampato in un tutto solo un centinaio di valvole, “nemmeno l’1% del totale”. Il resto è stato fatto da altri, anche da aziende come Leonardo e Ferrari che hanno scaricato il file e apportato modifiche al progetto iniziale.
“Al terzo giorno dal lancio mi arriva un whatsapp da dei medici brasiliani – racconta adesso Fracassi, e la sua voce stavolta tradisce una certa emozione -, ci dicono che grazie a noi 100 pazienti in Brasile in quel momento stavano respirando. Sono notizie che ti toccano”. Lui in quel periodo ha perso 8 chili, tante ore di sonno. e anche un bel po' di soldi, “visto che abbiamo messo sul piatto tre mesi di lavoro di 14 persone full time” per fare fronte a più di 10mila richieste da tutto il mondo. Infine, Isinnova ha raccolto 12mila euro di fondi con i quali ha acquistato delle stampanti 3d da donare agli ospedali in quattro Paesi: Burkina Faso, Ruanda, Mozambico, e Zambia. Lì i turisti lasciano spesso le maschere da snorkeling, ma non c’erano a disposizione stampanti per realizzare le valvole.
Ora Fracassi si rilassa un poco. Anche il suo sguardo da uccello sembra placarsi. Posa gli occhi a lungo sulla sua squadra al lavoro. Oggi stanno realizzando una bicicletta per bambini in plexiglass tagliato al laser, con disegni divertenti e neon colorati. L'hanno pensata, disegnata, realizzata e assemblata qui. Verrà presentata la settimana prossima.
Si discute da anni di transizione digitale e d'innovazione tecnologica come leve per rilanciare l'economia e superare le crisi che si susseguono da decenni. La pandemia, però, pare aver accelerato alcuni processi già in atto, portando contemporaneamente alla luce diversi nodi irrisolti. E anche più di qualche resistenza. L'emergenza, insomma, ha costretto molti a gettare il cuore oltre l'ostacolo. Ora sembra giunto finalmente il momento di mettere a sistema tutti questi sforzi. Quella della maschera da sub hackerata per salvare delle vite, insomma, potrebbe essere un piccolo, grande tassello di una storia ben più ampia. “L'innovazione è la messa a terra di un'idea che risolve un problema - commenta con concretezza tutta bresciana Fracassi -. Abbiamo provato a trasformare un problema in un'opportunità". D'altronde l'innovazione serve proprio a questo: "La nostra idea è nata da un bisogno preciso: mancavano maschere respiratorie, e servivano subito. Lo abbiamo fatto al meglio delle nostre possibilità, con i mezzi che avevamo a disposizione in quel momento. È stato bello, però, perché non c'è niente di più appagante del vedere che un'idea serve a qualcuno. In questo caso a salvare delle persone”. Le idee senza la loro esecuzione restano solo allucinazioni, insomma. Lo diceva Thomas Edison.