Settanta associazioni italiane, tra queste la Cgil, oltre 400 in Europa, hanno lanciato un’Ice - iniziativa dei cittadini europei – per chiedere alla Commissione e al Parlamento europei di promuovere una azione urgente per modificare gli accordi commerciali sui brevetti. Occorre raccogliere un milione di firme – 180mila in Italia -  e per sottoscrivere la petizione basta cliccare qui. In coincidenza con la riunione del Consiglio Trips dell’Organizzazione mondiale del commercio, che deve decidere sulla richiesta avanzata ad ottobre da India e Sud Africa di una moratoria temporanea sui brevetti, il Comitato italiano per l’Ice ha deciso di lanciare una maratona Facebook dalle 17 alle 19 per illustrare le ragioni della campagna e dare impulso alla raccolta firme. Ecco il link per parteciparvi: https://www.facebook.com/right2cure.it. Di vaccini, proprietà intellettuale e diritto alla salute parliamo con Nicoletta Dentico, di Society International Development.

Generali dell'esercito e protezione civile sono alle prese con la logistica per il piano vaccinale, ma nel frattempo la curva dei contagi si impenna e le dosi da somministrare arrivano in Italia con il contagocce, nonostante i contratti sottoscritti dicessero altro...

La vicenda dei contratti negoziati dall’Unione europea è stata, a mio modo di vedere, un’opportunità mancata. L’Europa è arrivata impreparata a questo appuntamento direi fondamentale. A questo si aggiungono una serie di inefficienze e di squilibri tra le case farmaceutiche, l’Europa e gli stessi governi nazionali che vedremo anche nel futuro. Ora siamo nella fase dei vaccini in tempo di emergenza, poi subentrerà la regolamentazione secondo la logica di mercato e penso che dovremo aspettarci diverse sorprese, a meno che l’Europa non acquisisca una più forte consapevolezza di sé e del ruolo politico che deve giocare anche nel rapporto con il settore privato. Per quanto riguarda i singoli paesi, penso ci siano inefficienze, progressi e arretramenti, piani vaccinali non efficientissimi o troppo vaghi. Come ad esempio, per quel che riguarda l’Italia, una eccessiva frammentazione regionale. C’è bisogno di centralizzazione a livello nazionale, e di una attenta monitorizzazione. Qualunque piano vaccinale deve essere suscettibile di cambiamenti a seconda di quali siano i sieri disponibili, soprattutto mano a mano che se ne aggiungono di nuovi a quelli già in uso. Insomma, bisogna tenere insieme flessibilità ma anche una chiara visione di dove si vuole arrivare.

Parlavi di una regolamentazione dei vaccini, centinaia di organizzazioni della società civile europea, settanta in Italia tra cui la Cgil, hanno lanciato una Petizione popolare per chiedere la sospensione dei brevetti e la produzione su licenza dei vaccini. Qual è il tuo giudizio su questa iniziativa?

Penso che l’iniziativa dell’Ice sia assolutamente fondamentale, anche se dobbiamo ricordarci che la sospensione della proprietà intellettuale non dobbiamo chiederla soltanto sui vaccini ma pure sui diagnostici, sui farmaci, sui dispositivi medicali e su quant’altro serve, accanto ai vaccini, per controllare e sconfiggere questa malattia. Quindi c’è un lavoro importantissimo da portare avanti e che deve andare oltre i vaccini. È una mobilitazione necessaria per l’Europa. Sappiamo che per quanto riguarda i brevetti è la Commissione europea che dialoga con l’Organizzazione mondiale del commercio. Ed è proprio l’Europa a porre uno dei pochissimi blocchi all’accettazione della sospensione, voluta inizialmente da Sud Africa e India ma ormai avallata da due terzi dei paesi dell’Organizzazione mondiale del commercio. Dobbiamo rafforzare la pressione dal basso nei confronti delle istituzioni europee. A Bruxelles non piace il Waiver? Bene, non lo usi ma non lo blocchi per tutti quelli che invece vogliono utilizzarlo in futuro

Che cosa è il Waiver?

È la possibilità di sospensione dei diritti sulla proprietà intellettuale sancita dall’articolo 8 dell’Accordo di Marrakech, che prevede la possibilità di sospendere alcune regolamentazioni dell’Organizzazione mondiale del commercio laddove ce ne siano provate giustificazioni e che rientra a emergenza conclusa. Questo è il cuore della richiesta di India e Sud Africa: sospendere temporaneamente alcuni diritti della proprietà intellettuale i quali, costruiti attorno ad un monopolio che dura da vent'anni, sono un ostacolo enorme all’accesso a quella conoscenza medica che pure, durante il 2020, si è venuta producendo per combattere il Covid. Tra l’altro, tutto il grande sforzo di ricerca scientifica che ha portato ai vaccini si è realizzato grazie a finanziamenti pubblici, circa 93 miliardi in dieci mesi da parte di Stati Uniti, Europa e altri paesi. Insomma avremmo tutte le condizioni per un brevetto pubblico, o per la condivisione della conoscenza come bene comune e quindi per l’utilizzo da parte di tutti dei vaccini prodotti nei singoli paesi.

La pandemia ci pone di fronte ad alcuni interrogativi. Si può mettere in sicurezza un paese, un continente senza curarsi del resto del mondo? E che ruolo deve avere il pubblico, le istituzioni, nel garantire il diritto alla salute? Insomma la salute può essere oggetto di profitto?

La salute non può e non dovrebbe essere campo di profitto. Quando 75 anni fa furono istituite le Nazioni Unite, la visione politica di allora partì precisamente dalla salute per ricostruire le società sulle macerie della Seconda guerra mondiale. La salute è un potente strumento di costruzione dei diritti universali. Il Covid ci ripropone una storia che avevamo già visto con l’Hiv o con l’Epatite C, quella dell’impossibilità di accesso a terapie essenziali semplicemente perché le aziende approfittano della posizione dominante che hanno nei monopoli brevettuali e decidono quali sono le regole dell’approvvigionamento e dei prezzi. Lo sappiamo da tempo che è una situazione insostenibile. Il Covid, un virus distruttivo ma anche pedagogico per molti aspetti, ci dice che dobbiamo ripensare le regole del commercio internazionale, che non è possibile trattare i farmaci, soprattutto quelli essenziali, altra stregua degli altri prodotti industriali. E ci dice anche che il settore pubblico deve riappropriarsi del governo e della gestione della ricerca scientifica e della produzione industriale in campo farmaceutico come settore strategico. Non possiamo delegare soltanto ai privati la produzione di beni così fondamentali non soltanto per il diritto, ma anche per la vita dei cittadini e delle cittadine e di intere società. Voglio quindi sperare che la deroga temporanea ai brevetti per i vaccini anti-Covid possa essere anche un’occasione per aiutare i governi del Nord e del Sud del mondo a riflettere.

Nella prima uscita europea, il neo premier Draghi ha strigliato la Commissione per la gestione dei contratti e poi ha affermato che i vaccini che arrivano in Europa devono essere usati per gli europei. In epoca di pandemia affermazioni di questo tipo sono sostenibili?

Draghi striglia la Commissione e ha sostanzialmente ragione, poi però suggerisce soluzioni di difesa dell’Europa. L’Europa in questo momento guarda solo a sé stessa e questo non è il sistema migliore per affrontare la pandemia, anche perché insieme al Canada e agli Stati Uniti è una di quelle realtà che si è già accaparrata la gran parte delle dosi che saranno in produzione nel 2021, una sorta di vero e proprio apartheid sanitario. Abbiamo interiorizzato il fatto che dobbiamo garantirci noi nel Nord del mondo e poi per gli altri si vedrà. In realtà, nessuno potrà definirsi libero dal virus se non sarà immunizzata tutta la popolazione. Infatti, la deroga sui brevetti al centro della Campagna europea si chiede fino a che non sarà immunizzata la popolazione del mondo. Insomma, dobbiamo smettere di portarci dietro vecchi vizi di un antico retaggio colonialista e paternalista che vedeva i paesi ricchi accaparrare risorse depauperando quelli poveri.

Ma perché l’Occidente sembra fare resistenza ai vaccini russi e cinesi? Si conoscono poco? Sono meno sicuri? O c’è dell’altro?

C’è qualcos’altro, credo. Recentemente sul New York Times è stato pubblicato un articolo su questa strana reticenza del mondo occidentale nei confronti dei vaccini russi e cinesi. Penso che ce ne libereremo presto. Come la stessa Europa lo scorso anno ha avuto bisogno dei medici cubani e cinesi, ora avrà bisogno di questi vaccini. Russia e Cina hanno capito che è possibile fare del vaccino un potente strumento di diplomazia internazionale. Ma è evidente che l’Unione europea si sta predisponendo ad utilizzare Sputnik V, una volta superata la valutazione dell’Ema. I nostri piani vaccinali dovranno riadattarsi all’entrata in scena di quei vaccini che ci piacciono meno perché arrivano da paesi che sono sì autocratici, ma che dal punto di vista scientifico e di capacità produttiva hanno dato dimostrazione di saperci fare.

Altra stranezza, i vaccini sono nelle mani delle multinazionali del farmaco e di fondazioni filantropiche statunitensi che ne finanziano in parte la produzione, nella vulgata comune, per garantirne l’accesso ai paesi poveri. Un bel gesto?

Un bel gesto coperto e avviluppato con questioni che riguardano chi governa la salute nel mondo, chi esercita veramente le leve delle decisioni internazionali in questa materia. Sappiamo che c’è una fondazione in particolare, la Bill e Melinda Gates, che su questa partita ha visto un suo rilancio quasi insperato, viene considerata alla stregua di una istituzione multilaterale, è in grado di condizionare le strategie messe in campo. Ad esempio, l’Università di Oxoford, che ha realizzato la ricerca del vaccino con soldi pubblici, voleva divulgare il risultato su una piattaforma pubblica aperta, accessibile a tutti. Bill Gates è riuscito a “convincere” l’Università di Oxford a non farlo e a vincolare la propria innovazione a una licenza esclusiva con AstraZeneca, partner di lungo corso della Fondazione Gates. Nell’Organizzazione mondiale della sanità cominciano ad emergere le voci preoccupate di alcuni governi, si ha la sensazione che la comunità internazionale intergovernativa venga via via defraudata della capacità di controllo e di accesso alle informazioni. Finché si procede a livello del negoziato tra governi questa capacità permane, ma le informazioni e il controllo cessano di essere disponibili quando si fanno contratti di diritto privato con aziende pubblico/private che hanno una logica di tipo privatistico e non pubblico. Questo è un problema enorme. Il Covid-19 segna un nuovo capitolo nella storia della governance della salute globale.

Insomma da un lato la salute come strumento per fare profitto, dall’altro il bene comune...

Il punto è esattamente questo. È una guerra che dura da molto tempo perché la globalizzazione ha fatto esplodere le diseguaglianze, aumentandole e approfondendole. È la globalizzazione che crea patogenesi. Ed è proprio la salute uno dei terreni su cui si è scatenata l’industria privata attraverso il modello assicurativo o la gestione privatistica degli ospedali o di quei servizi sanitari che, invece, dovrebbero essere appannaggio dei governi e del servizio pubblico. L’Oms lo dice esplicitamente: la salute deve essere una responsabilità dei governi che da questo punto di vista sono, invece, negligenti. Questa non è una partita soltanto sanitaria. Lo dicevano Giovanni Berlinguer e Tina Anselmi, tra i protagonisti dell’istituzione del Servizio sanitario italiano: quella della salute è una partita che si gioca sul terreno della libertà, dell’uguaglianza e della democrazia.