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Un'Europa più ecologica, digitale e resiliente. È l’obiettivo dichiarato del Piano per la ripresa dell’Unione, un filo conduttore che dovrebbe ispirare, attraversare, permeare e guidare strategie, politiche, interventi e progetti. “E invece nella bozza del Piano nazionale di ripresa e resilienza, su cui anche il nuovo governo sarà chiamato a lavorare, l’ecologia è stata relegata a un unico capitolo – afferma Simona Fabiani, responsabile ambiente e territorio della Cgil -. Quello che chiediamo è che l’azione di rilancio del Paese sia davvero guidata dagli obiettivi connessi ai tre assi strategici condivisi a livello europeo: digitalizzazione e innovazione, transizione ecologica, inclusione sociale”.
Non basta. Le azioni che verranno programmate devono rispettare alla virgola le indicazioni dell’Europa. Che tradotto significa: il 37 per cento delle risorse del Recovery Fund deve esser destinato a progetti favorevoli al clima, solo per fare un esempio. “Attualmente nel Piano in elaborazione latita la valutazione dei progetti specifici finalizzati al clima e manca il dato di riferimento che faccia capire se questo 37 per cento verrà effettivamente rispettato” prosegue Fabiani. Rivoluzione verde e transizione ecologica, quindi, che comprendono agricoltura ed economia circolare, energia rinnovabile ed efficienza energetica, tutela del territorio e delle risorse idriche, e, in un capitolo a parte, infrastrutture per la mobilità sostenibile. Per ogni settore di intervento, sostiene la Cgil nel documento elaborato con le prime valutazioni sul Piano nazionale, bisogna anche calcolare e indicare il dato dell’impatto occupazionale dei progetti.
Ma per attuare una vera rivoluzione green servono innanzitutto riforme di settore: un piano per l'adattamento al cambiamento climatico, uno per la decarbonizzazione, una strategia nazionale di riqualificazione a lungo termine sull’efficienza energetica degli edifici, una per l’economia circolare, e un’altra per l’uso sostenibile e la protezione delle acque e delle risorse marine, una legge contro il consumo di suolo. Mentre sul fronte delle infrastrutture per una mobilità sostenibile, sono necessari una riforma delle stazioni appaltanti, una del sistema dei trasporti, l’accelerazione dei contratti di programma tra ministero Trasporti e Rete ferroviaria, un sistema regolatorio univoco per tutte le concessioni autostradali.
Quindi, ci vogliono progetti e investimenti. Per la Cgil occorre aumentare le risorse per l’estensione del fotovoltaico e dell’eolico off e on-shore; procedere con un piano nazionale sui rifiuti e con l’accelerazione sulle bonifiche nei 40 siti di interesse nazionale e nelle 12.000 zone inquinate di competenza delle regioni e degli enti locali, ideare e mettere in atto un piano per la riconversione verde delle produzioni, a partire dalle aree di crisi industriale e un altro per la giusta transizione, con la creazione di nuovi posti di lavoro, ammortizzatori sociali universali e formazione permanente. Solo per indicare alcune delle priorità.
Prendiamo l’energia. “In tema di rinnovabili, il primo passo è rivedere da subito il Piano nazionale integrato energia e clima, e discutere di un piano vincolante che definisca risorse, procedure, scelte, tempi di attuazione, della transizione energetica rispetto ai nuovi vincoli e agli indirizzi più complessi che ha indicato l’Europa – aggiunge Simona Fabiani. “Le fonti rinnovabili, l’idrogeno verde, l’efficientamento energetico rappresentano un campo straordinario di innovazione tecnologica, impulso alla ricerca e all’occupazione – scrivono gli esperti della confederazione -. Proprio in termini occupazionali, infatti, è prevedibile un aumento consistente dei posti di lavoro nel settore della generazione elettrica dovuto al maggior fabbisogno di posti nella progettazione, costruzione, manutenzione e gestione delle fonti di energia rinnovabile”.
Quello che bisogna fare, quindi, è definire il come, il cosa, il quando, il perché. E sul “quanto” secondo la Cgil in alcuni ambiti siamo ancora lontani dal tagliare il traguardo: “Si ipotizza una spesa di soli 8,66 miliardi di euro, con l'obiettivo di aumentare la capacità rinnovabile installata di 4,5-5 gigawatt che si aggiungono a 1,3-1,4 GW previsti nella componente agricoltura sostenibile con i parchi agrisolari – scrivono gli esperti del sindacato -. Nella migliore delle ipotesi si tratterebbe di un totale di 6,4 GW, a fronte di un piano integrato energia che prevede 40 GW di nuova capacità al 2030”.
Ma nella bozza di Piano mancano ancora tanti capitoli, che non sono stati minimamente trattati o che sono solo accennati. La giusta transizione, per esempio, che mette al centro le azioni per Taranto e il Sulcis, ma dimentica il resto dell’Italia. I temi della tutela del territorio, del ripristino della biodiversità, della tutela degli ecosistemi, del tutto dimenticati. Quando si affrontano gli interventi per le infrastrutture di trasporto, vengono trascurate le reti locali dove invece si trova la maggioranza degli utenti. “In definitiva occorre sviluppare una visione complessiva – conclude Fabiani -, che metta insieme gli obiettivi dello sviluppo sostenibile, la produzione, i bisogni e l’occupazione, superando la segmentazione degli interventi”. Solo così si arriverà a un Piano che sia davvero di ripresa e resilienza, guardando all’Italia della prossima generazione.