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Recita il R.D.L. 5 settembre 1938, n. 1390 relativo a Provvedimenti per la difesa della razza nella scuola fascista: “All’ufficio di insegnante nelle scuole statali o parastatali di qualsiasi ordine e grado e nelle scuole non governative, ai cui studi sia riconosciuto effetto legale, non potranno essere ammesse persone di razza ebraica, anche se siano state comprese in graduatorie di concorso anteriormente al presente decreto; né potranno essere ammesse all'assistentato universitario, né al conseguimento dell'abilitazione alla libera docenza”.
“Alle scuole di qualsiasi ordine e grado, ai cui studi sia riconosciuto effetto legale - precisa il decreto - non potranno essere iscritti alunni di razza ebraica”.
Saranno espulsi dalla scuola “almeno quattro direttrici d’asilo e un numero ignoto di maestre; oltre cento direttori e maestri di scuola elementare; almeno 279 presidi e professori di scuola media (173 in quelle di istruzione classica, scientifica e magistrale e 106 in quelle di istruzione tecnica); un provveditore agli studi; una decina di insegnanti nei licei musicali e nei conservatori; 96 professori universitari ordinari e straordinari, oltre 141 aiuti e assistenti e numerose decine di incaricati e lettori universitari; vennero revocate almeno 207 libere docenze”.
Migliaia e migliaia saranno i bambini, le bambine, i ragazzi, le ragazze colpiti dal provvedimento.
“Era un giorno di fine estate del 1938 - ricordava qualche anno fa in un’intervista la senatrice a vita Liliana Segre - Io ero a tavola con il mio papà e i miei nonni paterni, che poi finirono tutti ad Auschwitz. Ricordo le loro facce. Serie. Tirate. Preoccupate. Mai visti così. ‘Liliana, ti dobbiamo dire una cosa’, mi disse papà. Eravamo a Premeno, alto Lago Maggiore, sopra Verbania. Io avevo 8 anni. Avevo avuto un’estate normale. Mio papà, molto attento alla nostra salute, ci portava ogni anno al mare, a Celle Ligure; poi in montagna, e ogni anno gli piaceva cambiare posto: Macugnaga, San Martino di Castrozza, Bormio… A fine estate, concludevamo le vacanze al lago, a Premeno, luogo per me noiosissimo, in attesa che iniziasse la scuola, che allora apriva il 12 ottobre, giorno della scoperta dell’America da parte – ci insegnava la maestra – dell’italiano Cristoforo Colombo. Era stata per me – bambina che non veniva informata di quello che succedeva nella politica, degli annunci e delle tensioni che agitavano da mesi l’Italia – un’estate normale di una normale famiglia italiana, borghese e agiata. Ma quel giorno le facce di mio padre e dei miei nonni non erano normali, erano diverse dal solito. ‘Ti dobbiamo dire una cosa’, ripetè papà. ‘Non potrai tornare a scuola, a ottobre. Sei stata espulsa’. Io non capivo. Sapevo che ‘espulsa’ era una parola pesante. Per essere ‘espulsi’ bisognava aver fatto qualcosa di grave. Di molto grave. Chiesi a mio padre che cosa avevo fatto, che cosa era successo. Mi rispose che c’erano delle nuove leggi, che le cose erano cambiate, che noi eravamo ebrei e che dunque non sarei potuta tornare alla mia scuola, la Ruffini di Milano, dove avrei dovuto iniziare la terza elementare. Non sarei più stata in classe con le mie compagne e con la mia maestra Bertani. Quel giorno scoprii di essere ebrea”.
Quel giorno in tante e in tanti scoprirono che la loro vita sarebbe cambiata per sempre.
Al Regio decreto legge del 5 settembre 1938 (e a quello del 7 settembre che fissava Provvedimenti nei confronti degli ebrei stranieri) farà seguito infatti, il 6 ottobre, una Dichiarazione sulla razza emessa dal Gran consiglio del fascismo successivamente adottata dallo Stato sempre con un Regio decreto legge che porta la data del 17 novembre dello stesso anno.
“È tempo che gli Italiani si proclamino francamente razzisti”, del resto candidamente sanciva La difesa della razza del 5 agosto 1938 ripubblicando il Manifesto della razza (o Manifesto degli scienziati razzisti) pubblicato su Il Giornale d’Italia il 14 luglio precedente.
“Le razze umane esistono - vi si leggeva - (…) Esiste ormai una pura 'razza italiana'. (…) È tempo che gli Italiani si proclamino francamente razzisti. Tutta l’opera che finora ha fatto il Regime in Italia è in fondo del razzismo”.
Dalla definizione di razza alla discriminazione ed espulsione dei cittadini ebrei dalla vita sociale e dal mondo lavorativo e scolastico il passo sarà breve e dalla teoria si passerà ben presto ai fatti.
“Con le leggi razziali divenni invisibile - diceva ancora Liliana Segre - Un giorno di settembre del 1938 sono diventata l’altra. So che quando le mie amiche parlano di me aggiungono sempre “la mia amica ebrea”. E quel giorno a otto anni non sono più potuta andare a scuola. Ero a tavola con mio papa e i nonni e mi dissero che ero stata espulsa. Chiesi perché, ricordo gli sguardi dei miei, mi risposero perché siamo ebrei, ci sono delle nuove leggi e gli ebrei non possono fare più una serie di cose. Se qualcuno legge a fondo le leggi razziali fasciste, una delle cose più crudeli è stato far sentire invisibili i bambini. Molti miei compagni non si accorsero che il mio banco era vuoto. (…) Ad Auschwitz ero solo il numero 75190. (…) Era una città: era una città del dolore, una città di 60.000 donne che entravano e uscivano tra quelle che andavano a morte e le nuove arrivate. Trentuno ragazze, italiane - non conoscevo nessuna di loro e solo la lingua ci univa in quel momento - entrai con loro e vidi quella serie infinita di baracche, la neve grigia, in fondo una ciminiera che sputava fuoco, intorno il triplo filo spinato elettrificato… E poi le sentinelle, e donne, donne scheletrite, testa rasata, vestite a righe, picchiate, in ginocchio, portavano pesi… «Ma dove siamo entrate?». Era una scena apocalittica. Noi, scese due ore prima da quel treno, ci guardavamo intorno, ma nessuno più ci avrebbe sussurrato: «Tesoro. Amore». «Ma dove siamo arrivate?». «Che cos’è questo posto incredibile?». «Siamo vittime di un incubo, di un’allucinazione… Non può essere che esista un posto di questo genere…». Sì, esisteva (…) Erano stati realizzati questi campi già da tempo, molto ben organizzati, molto ben preparati per far soffrire e morire: quello era il fine”.
Quello era il loro fine. E se comprendere è impossibile, conoscere è necessario.
“Può accadere - scriveva Primo Levi - e dappertutto. Non intendo né posso dire che avverrà; (...) è poco probabile che si verifichino di nuovo, simultaneamente, tutti i fattori che hanno scatenato la follia nazista, ma si profilano alcuni segni precursori. La violenza, ‘utile’ o ‘inutile’, è sotto i nostri occhi: serpeggia, in episodi saltuari e privati, o come illegalità di stato (...) Attende solo il nuovo istrione (non mancano i candidati) che la organizzi, la legalizzi, la dichiari necessaria e dovuta e infetti il mondo. Pochi paesi possono essere garantiti immuni da una futura marea di violenza, generata da intolleranza, da libidine di potere, da ragioni economiche, da fanatismo religioso o politico, da attriti razziali. Occorre quindi affinare i nostri sensi, diffidare dai profeti, dagli incantatori, da quelli che dicono e scrivono ‘belle parole’ non sostenute da buone ragioni”. Anche oggi, forse soprattutto oggi.