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Il 26 giugno ricorre la giornata internazionale per le vittime di tortura. Una giornata stata istituita il 12 dicembre 1997, tramite la Risoluzione 52/149 dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite. Tortura, una parola agghiacciante che sembra appartenere ai secoli scorsi.
È invece un atto tuttora presente in molti Stati del mondo, praticato con il fine di estorcere confessioni attraverso la sofferenza fisica e psichica. Si stima siano più di 50.000 le vittime registrate ogni anno. Tra queste anche il nostro, di tutte e tutti noi, Giulio Regeni. Sono passati sei anni da quando Giulio sparì nel nulla.
Era la sera del 25 gennaio 2016 al Cairo. Lo ritrovarono morto giorni dopo. Era stato torturato e ucciso. Lui e la sua curiosità per il mondo era stati inghiottiti da una repressione feroce.
“L'ultima foto che abbiamo di Giulio - diceva la mamma Paola Deffendi pochi giorni dopo il ritrovamento - è del 15 gennaio, il giorno del suo compleanno, quella in cui lui ha il maglione verde e la camicia rossa. Non si vede, ma davanti a lui c'è un piatto di pesce e intorno gli amici, perché Giulio amava divertirsi. Il suo era un viso sorridente, con uno sguardo aperto. È un’immagine felice”. Poi c’è un’altra immagine. Quella che “con dolore io e Claudio cerchiamo di sovrapporre a quella in cui era felice”, quella all’obitorio. “L’Egitto ci ha restituito un volto completamente diverso. Al posto di quel viso solare e aperto c’è un viso piccolo. piccolo, piccolo, non vi dico cosa gli hanno fatto. Su quel viso ho visto tutto il male del mondo e mi sono chiesta perché tutto il male del mondo si è riversato su di lui. All’obitorio, l’unica cosa che ho ritrovato di quel suo viso felice è il naso. Lo ho riconosciuto soltanto dalla punta del naso”.
Il corpo nudo e atrocemente mutilato del giovane ricercatore sarà trovato il 3 febbraio in un fosso lungo la strada del deserto Cairo-Alessandria, alla periferia del Cairo.
Mostrava segni evidentissimi di tortura: contusioni, abrasioni, lividi estesi compatibili con lesioni da calci, pugni e aggressione con un bastone. Si potranno contare più di due dozzine di fratture ossee, tra cui sette costole rotte, tutte le dita di mani e piedi, così come entrambe le gambe, le braccia e scapole, oltre a cinque denti rotti.
Torture e sevizie con oggetti roventi, calci, pugni, lame e bastoni che gli causarono “acute sofferenze fisiche” portandolo lentamente alla morte. Violenze perpetrate per “motivi abietti e futili e con crudeltà”, nella ricostruzione dei magistrati. Ma Giulio non sarà mai quel volto tumefanno. Giulio è, e resterà, il suo sorriso, la sua sete di verità e conoscenza, la sua voglia di vivere, la sua curiosità.
È - e resterà - un fratello, un amico, un figlio, che non abbiamo potuto o saputo proteggere, al quale dobbiamo verità e giustizia. “Un ragazzo globale - diceva di lui Riccardo Noury, portavoce Amnesty International Italia - Una persona curiosa ed entusiasta di conoscere, affascinata dall'incontro con altre culture. Uno studioso. Una bella persona.
Il 25 gennaio 2016 Giulio Regeni è stato inghiottito nel vortice di una repressione al suo culmine, in quell'Egitto dove molti Giulio e molte Giulia locali avevano già conosciuto e in seguito avrebbero ancora conosciuto lo stesso destino.
Nei quattro anni che sono seguiti, c'è chi ha inseguito tenacemente la verità: la famiglia di Giulio, la sua avvocata, la procura di Roma, non pochi giornalisti, le attiviste e gli attivisti per i diritti umani. C'è chi quella verità l'ha negata per prassi: la prassi di un governo, quello del Cairo, che si fonda sull'impunità. E chi quella verità non ha saputo o, più probabilmente voluto chiederla: quattro distinti governi italiani.
Ma quella verità - quella giudiziaria ad accompagnare una verità storica che è chiara - arriverà prima o poi. Mentire all'infinito non è possibile”.