L’Amazzonia è la maggiore foresta pluviale della Terra. Si estende su nove paesi per circa 7.8 milioni di km². Lì vivono circa 50 milioni di persone, il 10% di tutte le specie animali e vegetali conosciute (alcune hanno qui il loro unico habitat), più di cinquecento popolazioni indigene. Ospita l’area in cui abitano più popolazioni incontattate che in qualsiasi altra parte del pianeta. Immagazzina circa 200 miliardi di tonnellate di carbonio. Il complesso di conservazione dell’Amazzonia centrale iscritto nella lista dei Patrimoni dell’umanità è un sito di quasi 6 milioni di ettari in Brasile.

L’Amazzonia è un patrimonio universale, ma la sua gestione è affidata ai Paesi che secondo il principio di autodeterminazione sono responsabili di ciò che in essa avviene. Nell’agosto 2023 al summit dell’Organizzazione del Trattato di Cooperazione Amazzonica (Octa), Lula si è impegnato a fermare entro il 2030 la deforestazione in Amazzonia.

Si stima che il 18% della foresta amazzonica sia già stato distrutto e che un altro 17% sia danneggiato provocando il rilascio in atmosfera di enormi quantità di Co2 (Wwf). Nell’Amazzonia brasiliana nel 1° semestre del 2024 sono già stati registrati 13.489 incendi: pur essendo una delle maggiori riserve di acqua del pianeta essa è colpita da una gravissima siccità esito del cambiamento climatico, ma anche dalla deforestazione e dall’inquinamento operati dall’estrattivismo delle multinazionali (oro, petrolio, legno), dalla creazione di pascoli per immense mandrie di bovini, dall’apertura di strade ed opere pubbliche che non tengono in nessuna considerazione l’impatto ambientale, dallo sfruttamento agricolo di sussistenza da parte di alcune delle comunità più povere del pianeta.

Lo stato di Amazonas in Brasile è il quinto stato più ricco, ma i salari sono tra i più bassi di tutta la nazione. Questo è il risultato del modello di sviluppo oggi implementato in Amazzonia anche dai governi succubi agli interessi del capitale globale.

“La conservazione dell’Amazzonia e il suo sviluppo economico e sociale sono essenziali non solo per l’equilibrio dell'ecosistema globale, ma anche per la sopravvivenza delle comunità che dipendono direttamente da questa foresta per il loro sostentamento e la loro cultura. Non è possibile garantire la conservazione dell’Amazzonia senza promuovere i diritti dei lavoratori amazzonici, rendendola una regione più giusta, meno diseguale e socialmente prospera”. Così afferma il Manifesto del Forum Sindacale Pan-Amazzonico, presentato a Manaus il 28 e 29 agosto 2024, nato per unire i sindacati degli otto Stati amazzonici nella promozione di azioni strategiche per la conservazione della foresta amazzonica, ponendo al centro le condizioni di vita e di lavoro di cui il vertice Otca si è in buona parte “dimenticato”.

L’iniziativa, sostenuta da Cgil e da Nexus, sta costruendo un’agenda sindacale comune a tutti i 15 sindacati riuniti, pertinente per i territori e le organizzazioni sindacali, indigene, femministe, ambientaliste, per difendere la sovranità e l’autodeterminazione dei popoli, così come la libera circolazione dei lavoratori e l'integrazione delle frontiere, intendendo la migrazione come un'opportunità decisiva per lo sviluppo socio-economico.

L’impegno - che vedrà alla Cop 30 di Belem nel 2025 la prima attività di incidenza politica globale - del Forum è per una nuova governance globale basata sui diritti universali, che promuova la pace e la giustizia sociale, che combatta le privatizzazioni delle risorse naturali, lo sfruttamento del lavoro. I sindacati vogliono entrare nella discussione che oggi è “sequestrata” da imprenditori e governi: lavoro e ambiente non sono incompatibili e il Forum intende dimostrarlo.

Sabina Breveglieri, Nexus Solidarietà Internazionale Cgil