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“Un pugno nello stomaco”. Alfio Nicotra, copresidente dell’associazione Un Ponte Per, ci racconta la missione a Rafah della delegazione organizzata dall’Aoi (l’Associazione delle organizzazioni italiane di cooperazione e solidarietà internazionale), in collaborazione con Arci, Assopace Palestina e tante altre ong, composta da 50 tra parlamentari dell’opposizione, associazioni, accademici e giornalisti.
Come prima cosa ci spiega quanto sia impressionante avvicinarsi a Rafah e vedere “enormi colonne di tir con aiuti umanitari da tutto il mondo bloccati sotto il sole, con gli autisti che vivono da settimane nei loro camion e che ci vengono incontro dicendoci che nessuno si preoccupa di loro e delle derrate alimentari che stanno andando a male rischiando di essere inutilizzabili. Gli aiuti ci sono, ma gli israeliani non li fanno passare, mentre nei territori i palestinesi muoiono di fame”.
In migliaia non mangiano da giorni, riferiscono gli operatori della Luna rossa palestinese ed egiziana, non hanno accesso all’acqua potabile e sono costretti a bere quella delle fogne o quella salata del mare e le conseguenze sono “malattie gastrointestinali, bambine e bambini morti per fame e disidratazione – prosegue –. Le organizzazioni internazionali ci dicono che, se non si accede con i camion di aiuti, si passerà in due o tre mesi dai 31 mila morti per la guerra a oltre 80 mila vittime palestinesi: un’ecatombe che si sta preparando tra l’inerzia della comunità internazionale. Samo andati lì proprio per gridarlo”.
E aggiunge: “I nostri camion sono passati, ma sono una goccia nel mare della disperazione. Senza il cessate il fuoco non si riesce a distribuire alcunché in modo capillare e poi c’è il rischio che accada come a Gaza a fine febbraio, con l’assalto ai camion con la farina e la morte di oltre cento palestinesi uccisi dagli spari israeliani o calpestati nella calca”.
Nicotra ha visto con i propri occhi le spianate al confine con l’Egitto, dove sono stati eretti muri per contenere l’arrivo dei profughi. “Attualmente – dice – l’Egitto è contrario alla fuga dei palestinesi proprio per non sostenere un’operazione di pulizia etnica israeliana, ma si sa che l’Egitto dipende dalle relazioni internazionali e il rischio di un gran numero di morti per fame potrebbe indurlo ad aprire i cancelli. Questa sarebbe una tragedia, come lo fu ne ‘48 con la cacciata del palestinesi dai propri territori. C’è da notare che molti di coloro che sono ora a Rafah sono i nipoti di chi allora fuggì dai villaggi palestinesi”.
All’interno della delegazione c’era anche un cooperante palestinese di una ong al quale è stato consentito di lasciare Gaza e ha spiegato che molte persone come lui, che hanno doppio passaporto e si sono allontanate dalle zone dei combattimenti, hanno continue notizie di parenti, amici e colleghi che sono stati uccisi, feriti e tra loro anche molti operatori della Mezza luna rossa o all’interno degli ospedali, ora distrutti o resi inagibili dai raid israeliani.
Un’altra immagine che non può che colpire: “Abbiamo visto i depositi di ambulanze pronte per passare il varco e bloccate da Israele. In questo modo il soccorso ai feriti diventa un problema. Ci sono persone che trasportano i feriti con carretti trainati da asini, abbiamo visto scene impressionanti”, afferma il copresidente di Un Ponte Per.
Nelle sue parole non mancano le valutazioni politiche: Nicotra ci ricorda infatti che “le trattative di pace sono inesistenti perché Israele non vuole riconoscere i palestinesi come interlocutori, ma senza di loro nulla è possibile. Hanno cercato di bypassarli con gli accordi di Abramo e poi la situazione è precipitata con il 7 ottobre. Israele dovrebbe fare una seria riflessione su di una guerra permanente, su una situazione di apartheid del popolo palestinese, con persone considerate di serie b, escluse dai diritti e dalle risorse”.
E poi “anche la sicurezza degli israeliani richiederebbe un percorso di pace prudente, invece di accarezzare il sogno di armarsi sino ai denti, dell’atomica e di servizi segreti tra i più efficienti al mondo. È un’idea folle quella di cacciare i palestinesi fuori dalla Striscia prendendoli per fame e sete e costringendoli nei campi di concentramento”.
Nicotra sottolinea che l’Occidente, l’Europa, non avrebbero mai consentito ad altri ciò che sta consentendo a Israele: mai a Londra di bombardare i quartieri di Belfast dove risiedeva l’Ira, mai a Madrid di fare lo stesso a San Sebastian o Bilbao contro l’Eta. “I Palestinesi sono protagonisti del loro futuro, ma è necessario riequilibrare lo strabismo internazionale per il quale i diritti fondamentali non valgono per i palestinesi, ma vale la cambiale in bianco di Israele nel procedere in nome di un’autodifesa fatta di rappresaglia di massa e di punizione collettiva, entrambe proibite dal diritto internazionale”.
In questo quadro non manca l’Italia, perché è al governo che Un Ponte Per e le altre ong chiedono di uscire dall’ambiguità, impegnandosi realmente per il cessate il fuoco, per l’invio efficace di aiuti umanitari, per sbloccare i fondi dell’Unrwa, l’organismo delle Nazioni unite per i rifugiati palestinesi, per lo stop al commercio di armi con Israele, comprese le commesse già in essere.
Una sensibilità verso la tragedia in corso che i parlamentari della maggioranza non hanno dimostrato, ignorando l’invito della missione, un invito che, assicura Nicotra, verrà riproposto alla prossima iniziativa.