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Dieci anni dopo la cosiddetta Rivoluzione del 17 febbraio 2011, la Libia continua a essere prigioniera di un caos difficile da dirimere. Una situazione in cui gravi violazioni di diritti umani, omicidi extragiudiziali, sparizioni forzate, torture, sfollamenti, sequestri, censura rimangono all’ordine del giorno e dove l’impunità regna sovrana. Nel 2012 una legge ha concesso piena immunità alle milizie armate con la scusa di proteggere la “rivoluzione”, mentre l’omicidio di Muammar Gheddafi, lungi da portare “pace e stabilità”, ha gettato la Libia in una spirale di violenza interna, e fomentata dall’esterno, da cui appare sempre più difficile uscire.
Il Paese continua a essere principale porta d’accesso all’Europa per i migranti che fuggono da repressione, guerre e povertà. Dal 2014 il 90% di quanti sono arrivati in Italia è transitato dalla Libia provenendo dai paesi dell’Africa occidentale o del Corno d’Africa, da Siria e Bangladesh. I migranti sono trattenuti negli undici centri di detenzione formalmente controllati dal governo di accordo nazionale (Gna) ma spesso gestiti da gruppi armati che praticano ogni tipo di violenza sui migranti. Come denunciato e documentato da Ong e osservatori internazionali, si tratta di luoghi dell’orrore, dove la tortura è pratica ordinaria. L’United Nations Support Mission in Libya (Unsmil) riceve costantemente rapporti credibili di detenzione arbitraria, tortura, sparizioni forzate, esecuzioni extragiudiziali, rifiuto di visite da parte di famiglie e di avvocati, privazione dell’accesso alla giustizia.
Secondo Ján Kubiš, inviato speciale dell’Onu per la Libia, le persone detenute arbitrariamente in 28 carceri ufficiali sono più di 8.850. Inoltre, circa 10mila persone sono prigioniere in centri di detenzione gestiti da milizie e gruppi armati. A marzo 2021 circa 3.858 migranti risultavano trattenuti nei centri di detenzione ufficiali gestiti dal Dipartimento per la lotta alla migrazione illegale, senza un giusto processo e con restrizioni all’accesso umanitario. Dal 15 marzo 2021 la Libia ha un nuovo governo di unità nazionale che ha sostituito, almeno sulla carta, i due governi esistenti (quello di Fayez al Serraj, con sede a Tripoli e quello che faceva riferimento al maresciallo Khalifa Haftar, con sede a Tobruk). Il nuovo esecutivo è guidato ad interim dal primo ministro Abdul Hamid Dbeibeh, uno degli uomini più ricchi del paese, con il mandato di portare il paese sino alle elezioni nazionali fissate per il 24 dicembre 2021, che sono state rinviate.
Testo tratto dal volume “Stato dell’impunità nel mondo - 19° Rapporto sui diritti globali”, edito da Futura