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Già prima che il pianeta si fermasse a causa del Covid-19, la forza lavoro mondiale viveva al limite delle proprie possibilità economiche. È quanto emerge da un sondaggio globale commissionato dalla Csi-Ituc, la confederazione sindacale internazionale. Dal sondaggio si evince che per tre quarti dei lavoratori (il 75%) il reddito era stagnante o in regresso.
L’analisi è stata commissionata dall’Ituc a YouGov, una società che cura ricerche di mercato globali, e copre 16 paesi in rappresentanza del 56% della popolazione globale. Condotto tra febbraio e marzo 2020 in Argentina, Belgio, Brasile, Bulgaria, Canada, Cile, Cina, Francia, Germania, India, Giappone, Russia, Sudafrica, Corea del Sud, Regno Unito e Stati Uniti il sondaggio, secondo il sindacato, mostra “una visione chiara di un mondo precario e in ansia per il lavoro” e manda “un monito ai governi, che devono lavorare con i sindacati e la società civile per garantire che i piani di ripresa costruiscano fiducia e resilienza”.
Più di due terzi degli intervistati si dicono preoccupati per il cambiamento climatico (69%), per le crescenti disuguaglianze (69%), per l'uso improprio dei dati personali online (69%) e per la perdita del lavoro (67%). “Queste preoccupazioni – si legge nell’indagine – arrivano in un momento, nel 2020, nel quale una persona su due (il 52%) valuta la situazione economica del proprio paese come negativa”.
Più del 60% ritiene che i lavoratori abbiano poca influenza e che ne abbiano troppa la minoranza (l’1%) dei ricchi e le aziende. Quasi tre quarti degli intervistati (il 71%) sono convinti che il sistema economico del loro paese favorisca i ricchi. “Questa opinione – osserva l’Ituc – è sostenuta dalla maggioranza delle persone in ogni paese e mostra una diffusa disgregazione del contratto sociale”.
“Le conseguenze economiche della pandemia Covid-19 si sono sovrapposte a una crisi preesistente di posti di lavoro a basso salario e precari - commenta Sharan Burrow, segretaria generale dell’Ituc -. Una persona su due non ha riserve finanziarie, non ha la capacità di risparmiare per i tempi difficili che si prospettano e dipende da ogni mensilità per sopravvivere. Senza risparmi o una rete di sicurezza, milioni di persone sono entrate nella pandemia obbligate a scegliere tra lavorare o morire di fame”.
Quasi la metà (il 42%) delle persone pensa che sia improbabile che la prossima generazione trovi un lavoro decente. Più di un terzo (il 39%) ha sperimentato direttamente la disoccupazione o la riduzione dell'orario di lavoro negli ultimi due anni. Per tre quarti (il 76%) il salario minimo non è sufficiente per vivere.
“La disperazione si sta diffondendo e si traduce in una massiccia perdita di fiducia nella democrazia come istituzione”, prosegue Burrow: “La richiesta di cambiamento a favore di posti di lavoro, di un’azione per il clima e di maggiore giustizia non è più uno slogan. I leader dovrebbero avere il coreaggio di impegnarsi per un nuovo contratto sociale sapendo di avere il sostegno degli elettori”.
Tra gli altri risultati del sondaggio (presentato l’11 settembre in un webinar), spicca come il 70% delle persone chieda più risultati sul fronte degli aumenti salariali, il
73% pretenda dai governi un’azione più incisiva sulle aziende e la contribuzione fiscale, e il 74% chieda investimenti nell'assistenza agli anziani, ai disabili e ai bambini in età prescolare. Anche il cambiamento climatico e l'impatto delle nuove tecnologie pesano nelle risposte: “Quasi due terzi (il 63%) delle persone pensano che i governi dovrebbe fare di più per promuovere una giusta transizione verso un futuro a zero emissioni di carbonio. I lavoratori in tutto il mondo sono inoltre sempre più preoccupati dal tema emergente della regolamentazione delle grandi aziende tecnologiche internazionali e dalla protezione dei loro dipendenti (spesso vulnerabili)”.