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Un’iniziativa per non lasciare sole le donne e la società civile dell’Afghanistan. Per non dimenticare il dramma di un Paese e del suo popolo, a pochi mesi dal ritorno al potere dei Talebani. È stato questo lo spirito dell’incontro organizzato lo scorso 17 maggio a Roma, presso il Centro Congresso Frentani, dallo Spi Cgil e dal Coordinamento donne del sindacato dei pensionati. Sono intervenuti esponenti del sindacato, analisti della rivista di geopolitica Limes, membri della diaspora afghana e delle organizzazioni non governative italiane. Il confronto, come si diceva, ha avuto per oggetto la situazione in Afghanistan all'indomani dell'uscita rapida degli Usa dal Paese e, in particolare, le conseguenze della presa del potere dei Talebani sui rifugiati afghani, le donne, gli attivisti, le bambine, i bambini e i profughi.
La segretaria nazionale dello Spi, Mina Cilloni, ha aperto la discussione richiamando l'attenzione sul fatto che dallo scoppio della dolorosissima guerra in Ucraina, che ha creato la più ampia emergenza umanitaria in Europa, i corridoi umanitari dall’Ucraina sono stati diversi dagli altri corridoi. Fabrizio Maronta, consigliere scientifico e responsabile delle relazioni internazionali di Limes, ha invece presentato un quadro esterno e regionale del Paese: territorio di frontiera, esposto agli influssi culturali, ricchissimo di materie prime e centro degli interessi delle potenze più grandi del sistema geopolitico, territorio sul quale è stato combattuta una guerra infinita al terrorismo e luogo di diaspora.
Giuliano Battiston - ricercatore, giornalista e attivista - ha tracciato un quadro della situazione interna del Paese, offrendo un'analisi della presa del potere dei Talebani, incentrata su tre criteri: la tenuta interna dei Talebani grazie al ricorso alla violenza come strumento politico; il difficilissimo rapporto con gli attori esterni occidentali che hanno congelato gli aiuti allo sviluppo e il rapporto con la società afghana, rigorosamente repressa quando non si allinea con la visione dei Talebani.
Il coordinatore delle Politiche europee e internazionali della Cgil, Salvatore Marra, ha ricordato che secondo il rapporto dell'Università svedese di Uppsala, ad oggi nel mondo 169 guerre dilaniano il pianeta e la dittatura in Afghanistan nega i diritti più elementari, dai diritti sindacali ai diritti delle donne e ai diritti civili. La voce di Mohammad Jan Azad, rappresentante dell'Associazione Nawroz (il giorno nuovo), è risuonata nella sala per testimoniare la disperazione della diaspora afghana, da lui vissuta in prima persona, che lo ha condotto a fondare l'associazione per cercare di sostenere quelle famiglie afghane poverissime che, senza un aiuto, potrebbero essere costrette a vendere le bambine e ad arruolare i bambini tra le fila dei Talebani.
Il rappresentante di Emergency, Pietro Protasi, ha riferito dell'impegno costante dell'associazione, presente nel Paese dal 1999, con cure prestate a oltre sette milioni di vittime di un conflitto ad oggi senza una risoluzione pacifica. Maria Cristina Rossi, del Coordinamento italiano per il sostegno delle donne afghane (Cisda) ha invece raccontato la lotta delle forze laiche afghane, che da 40 anni oppongono una resistenza capillare sul territorio, sottolineando il coraggio di quelle “donne afghane che chiedono al "governo dei lupi" pane, lavoro, libertà”. Silvia Stilli, portavoce dell'Associazione Ong italiane, ha tracciato un quadro della grande attività delle organizzazioni italiane nel Paese e lamentato il fatto che le priorità della politica italiana riguardino il mercato delle armi e le strategie energetiche, a discapito della società civile afghana che, invece, merita maggiore attenzione.
Nelle proprie conclusioni, il segretario generale dello Spi, Ivan Pedretti, ha richiamato l’attenzione sulla necessità di costruire una rete di solidarietà con le diverse realtà dell’associazionismo per far crescere la consapevolezza delle barbarie che – oltre alla pandemia e al drammatico conflitto in Ucraina – stanno dilaniando il mondo. Occorre trovare e dare risposte concrete, ha sottolineato Pedretti, che abbiano, allo stesso tempo, una valenza politica e umanitaria.
I partecipanti all’iniziativa hanno, infine, rivolto un appello al governo e alle istituzioni italiane affinché facciano la loro parte per non dimenticare gli afghani, le donne, le bambine, i bambini, gli attivisti e i profughi. Rispetto ai profughi, è stato chiesto di andare oltre il protocollo siglato al Viminale, in base al quale l’Italia ne accoglierà in due anni 1.200: un numero irrisorio per una popolazione di 40 milioni di abitanti.