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L’Italia continua a finanziare le fonti fossili anche all’estero, cioè progetti destinati a produrre emissioni dannose per il clima. Aveva promesso che non l’avrebbe più fatto, o meglio che avrebbe posto fine a nuovi finanziamenti pubblici internazionali per iniziative di estrazione, trasporto e trasformazione di carbone, petrolio e gas entro il 31 dicembre 2022.
L’impegno lo ha preso alla Cop26, la conferenza sui cambiamenti climatici dell’Onu di Glasgow, dove 34 Paesi (tra cui l’Italia, appunto) e cinque istituzioni finanziarie pubbliche hanno aderito a novembre 2021 alla cosiddetta Dichiarazione di Glasgow: “Noi (firmatari) ci impegniamo a intraprendere le seguenti azioni per allineare il nostro sostegno pubblico internazionale verso la transizione all’energia pulita e l’uscita senza sosta dai combustibili fossili”.
Ma a dispetto degli impegni presi, l’Italia continua ad alimentare la crisi climatica. Per questo alla vigilia del Cop28, il summit dell’Onu che vede riuniti a Dubai 198 Paesi e 70 mila delegati dal 30 novembre al 12 dicembre, una coalizione di associazioni, ActionAid, Focsiv, Movimento Laudato Si’, ReCommon e Wwf, supportata da 29 organizzazioni della società civile africana, chiedono che il governo interrompa i finanziamenti pubblici internazionali a progetti fossili.
Questo deve avvenire a partire dal miglioramento delle policy di Sace, il gruppo assicurativo-finanziario direttamente controllato dal ministero dell’Economia e delle finanze, e Cassa depositi e prestiti e con l’aumento di capacità di spesa delle banche multilaterali di sviluppo per una transizione energetica a zero emissioni e che affronti la crisi del debito dei Paesi a basso reddito.
“Gli effetti del cambiamento climatico sono tra noi, a qualsiasi latitudine – afferma Simone Ogno, di ReCommon -. Lo abbiamo visto anche con la recente alluvione di Campi Bisenzio. È arrivato il momento che il governo italiano, attraverso le sue istituzioni di finanza pubblica, faccia la sua parte, con lo stop ai finanziamenti pubblici internazionali per progetti fossili. Un’opportunità unica per orientare soldi pubblici a favore di politiche di mitigazione e adattamento in Italia, e per creare partenariati alla pari con i Paesi a basso reddito, a partire da quelli africani”.
Secondo la coalizione, attraverso l’operatività di Sace, l’Italia è il primo finanziatore pubblico di combustibili fossili in Europa e il sesto a livello globale. Dall’entrata in vigore dell’Accordo di Parigi sul clima, quindi dal 2015, l’ammontare garantito per progetti di carbone, petrolio e gas equivale a 15,1 miliardi di euro, e il 42 per cento delle garanzie riguarda progetti realizzati in diversi Paesi dell’Africa. Nello stesso periodo, i prestiti di Cassa depositi e prestiti a progetti di petrolio e gas nel continente ammontano a 1,66 miliardi di euro.
Ci sono altri due aspetti che le associazioni sottolineano. Spesso le multinazionali capofila di progetti fossili si inseriscono in contesti attraversati da forti instabilità socio-politiche e da violazione dei diritti. Mentre gli investimenti futuri nella produzione di idrocarburi in Africa, in modo particolare il gas, non avranno alcun impatto rilevante sulla sicurezza energetica dell’Italia.
“Le banche europee continuano a finanziare progetti altamente impattanti sull’ambiente - afferma Cristiano Maugeri, di ActionAid Italia -. Eppure, le occasioni per rendere ‘i flussi finanziari coerenti con un percorso che conduca a basse emissioni di gas serra e resiliente al clima’, come recita l’Accordo di Parigi all’art. 2, non mancano. La direttiva in materia di diritti umani e ambiente, il cui percorso di approvazione si sta concludendo in questi giorni, rappresenta un’opportunità storica. Chiediamo al governo italiano di vigilare affinché la finanza rimanga nell’ambito di applicazione della direttiva”.