Il 4 luglio Sharifeh Mohammadi, un'attivista sindacale e civile iraniana, già componente del comitato di coordinamento per la costituzione di organizzazioni sindacali in Iran, è stata condannata a morte con l'accusa di tradimento e insurrezione. 

Una sentenza di condanna a morte che non è solo una pronuncia giudiziaria emanata da un isolato giudice dai metodi spietati, ma parte di un'azione sistematica e di una strategia degli organi di sicurezza per diffondere il terrore nelle file dei movimenti sociali ed emarginarli nei futuri sviluppi politici dell’Iran.

Questa inaspettata sentenza contro una sindacalista è stata pronunciata in un momento molto critico per la Repubblica Islamica. Dopo la morte (avvenuta in circostanze controverse) dell’ex presidente Raisi, si sono svolti i due turni delle elezioni presidenziali che hanno portato all’elezione di Mazoud Pezeshkian che la stampa occidentale continua a definire come appartenente a un sedicente gruppo “riformista”.

È invece evidente che questa sedicente “nuova” faccia del potere in Iran verrà utilizzata in modo strumentale dalle autorità religiose per vendere l’immagine di un Iran che non esiste soprattutto in occidente, mentre nel Paese continuerà la repressione, la violenza, la tortura e le uccisioni.

I due turni sono stati caratterizzati da una fortissima astensione. Non andando a votare, le cittadine e i cittadini iraniani hanno voluto denunciare quanto queste ultime elezioni presidenziali siano state una vera e propria farsa. La lotta delle donne iraniane e degli uomini iraniani del movimento “Donna vita libertà”, anche attraverso la scarsa partecipazione al voto, ha dimostrato la volontà di avviare profondi e fondamentali cambiamenti nel Paese.

È chiaro che la pena di morte per un’attivista sindacale e civile è un segnale di debolezza e divisione all’interno della Repubblica Islamica, da cui cominciano a trasparire evidenti segnali di destabilizzazione. L’obiettivo è ancora una volta creare terrore nella società civile e nell’opposizione politica con l'obiettivo di costringere la gente all'obbedienza tramite la coercizione e la violenza in ogni forma.

Si stima che in Iran nel 2023 siano state eseguite 844 condanne a morte, ma i numeri sono certamente più alti. Il regime costituisce sindacati gialli e di comodo per tenere il mondo del lavoro sotto controllo e ricatto. Nonostante questa situazione, sono state centinaia le manifestazioni sindacali e 32 gli scioperi di cui si è avuto notizia.

Decine di sindacalisti sono in carcere nel Paese, molti costretti – insieme alle proprie famiglie – alla fuga e all’esilio per timore di ritorsioni, persecuzioni e violenza.

La condanna a morte di Sharife Mohammadi e degli altri prigionieri politici e manifestanti nelle rivolte popolari deve essere annullata immediatamente e incondizionatamente. La lotta per la cancellazione di questa condanna e il rilascio di Sharife Mohammadi e degli altri prigionieri politici, sindacali e civili è un fronte importante e decisivo per la lotta delle lavoratrici e dei lavoratori iraniani per cambiare il Paese e realizzare una società libera, equa e prospera.

“L’indifferenza è il peso morto della storia” scriveva, citando Gramsci, la premio Nobel Narges Mohammedi dal carcere di Evin in una lettera aperta a fine novembre dell’anno scorso. Occorre dare un segnale forte contro la repressione: chiediamo la mobilitazione a livello internazionale per l’immediata cancellazione della condanna a morte e la scarcerazione di Sharife Mohammadi.

Il rilascio incondizionato degli oppositori e dei prigionieri politici rappresenta un passo decisivo nella lotta per la libertà del popolo iraniano a fianco del quale, come movimento sindacale indipendente, autonomo e internazionale saremo sempre schierati finché non sarà ristabilito lo stato di diritto nel Paese e non saranno rispettate le libertà civili, sociali e religiose.

Come Cgil ci mobiliteremo nei prossimi mesi all’interno delle organizzazioni internazionali per continuare a dare voce al movimento “Donna, vita, libertà” e fare sentire la nostra vicinanza a chi, rischiando la morte in Iran, si batte per la democrazia, il lavoro e i diritti umani e sindacali.

Salvatore Marra, coordinatore dell’Area politiche internazionali Cgil