L'Onda di Francia
Con molte somiglianze rispetto alle rivendicazioni avanzate dalle nostre scuole e dalle nostre università, il 20 novembre è stata la giornata dello sciopero generale dell'istruzione francese. Gli insegnanti – dalle materne in su, di istituti e facoltà pubblici e privati – hanno manifestato contro la politica dei ministri Xavier Darcos e Valerie Pecresse. Una mobilitazione massiccia le cui ragioni vengono spiegate nel dettaglio dal quotidiano francese Le Monde. Intanto, come prima cosa, la soppressione dei posti di lavoro: "i sindacati denunciano la riduzione del personale nei prossimi tre anni. Misure che si traducono nel degrado delle condizioni di lavoro e in un ricorso massiccio alla precarietà". Altro motivo di scontro è l'assenza di dialogo con le parti sociali: "Il ministro – lamentano i sindacati secondo quanto riferisce il quotidiano francese – mette in dubbio la professionalità dei docenti e il loro impegno a servizio degli studenti". Non piacciono neppure la riforma dell'istruzione superiore e i cambiamenti della carta scolastica, decisioni che "rinforzerebbero la ghettizzazione degli istituti scolastici meno favoriti". E poi ancora, lo stop di ieri è servito a dire no alla riforma dei concorsi pubblici che rischiano si basarsi su "criteri pseudo-professionali, artificiali e arbitrari."



Nel mezzo di Crack Street i top manager hanno guadagnato 100 milioni di dollari a testa
Nel bel mezzo della crisi economica e finanziaria americana, 15 top manager si sono portati a casa più di 100 milioni di dollari a testa tra dividendi azionari e indennizzi vari. Lo riporta il Wall Street Journal del 20 novembre. "Quattro di questi manager – scrive il quotidiano finanziario americano – tra i quali i presidenti di Lehman Brothers e Bear Stearns, in quel momento erano a capo di aziende che hanno fatto bancarotta, o le cui quotazioni in Borsa sono crollate del 90%". "La bolla del credito è esplosa, l'economia è a livelli minimi, i risparmiatori e il mercato borsistico nordamericano hanno perso più di 9 miliardi di dollari in un anno (…) Eppure, nelle industrie al centro della crisi, molti top manager se la sono cavata con fortune sostanziose". Il Wsj ha esaminato i bilanci di 120 compagnie quotate in Borsa, dalle banche alle finanziarie, dagli intermediari di Borsa ai costruttori edili. "Dallo studio – evidenza il Wsj – emerge che manager e membri dei cda negli ultimi cinque anni hanno intascato più di 21 mila milioni di dollari".


L'auto e i suoi dilemmi
Il dilemma su un possibile piano di salvataggio dell'industria automobilistica non affligge solo il Congresso statunitense. Per il britannico The Economist i prossimi sulla lista saranno gli europei. "Lo scorso martedì – si legge sul settimanale – proprio mentre i capi di General Motors, Ford e Chrysler si mettevano in fila con le loro ciotole dell'elemosina davanti alla commissione del senato, i dirigenti della European Investment Bank, valutavano se dare in prestito ai produttori di automobili del vecchio continente 40 miliardi di euro." Eppure, nonostante ci siano apparentemente diverse somiglianze tra le due sponde dell'Atlantico, le differenze sono anch'esse parecchie. "Il trio di Detroit può avere fiducia con un certo grado di ragionevolezza che otterrà, alla fine, qualche sostegno. Il prossimo anno, il presidente Barack Obama, che simpatizza con loro, e l'ampia maggioranza democratica in entrambe le camere dovrebbero garantirglielo. Ma sarà troppo tardi?"

Diversa la condizione in Europa – dove pure il mercato dell'auto non versa in ottima salute – " a differenza delle controparti statunitensi la strada è ancora abbastanza lunga". Secondo le stime riportate dall'Economist, il mercato europeo si ridurrà del 7.9% quest'anno rispetto al 16% degli Stati Uniti. I dati – che sono ripresi da uno studio condotto dalla J.D. Power - prospettano per il prossimo anno in Europa un'ulteriore contrazione, pari al 10,5%. In Europa, come dall'altra parte dell'Oceano, si discute degli aiuti al settore automobilistico, ma qui la Commissione Europea potrebbe vincolare il proprio sostegno economico all'impegno da parte dei produttori di realizzare veicoli ecosostenibili. A questo punto The Economist sottolinea: "Le aziende tedesche – che producono le auto più grandi e veloci e che, quindi, dovranno sostenere costi maggiori per questa riconversione – sono favorevoli a un'ipotesi di questo tipo. Invece, francesi e italiani – specializzati in utilitarie e veicoli economici – sostengono di essere sufficientemente capaci di rispettare nuove regole sulle emissioni senza l'aiuto dei contribuenti e preferirebbero incentivi che incoraggiassero i proprietari di vecchie automobili a comprarne di meno inquinanti."

La conclusione del settimanale britannico – comunque – è indicativa. Nonostante le differenze "molto dipenderà dalle decisioni americane. Una possibilità per l'Europa, nel caso in cui il trio di Detroit ottenga il finanziamento, sarebbe avanzare reclami presso l'Organizzazione mondiale del Commercio. Ma Ford e General Motors sono troppo importanti per l'industria automobilistica europea perché una scelta di questo tipo sia probabile. La scommessa è che anche i produttori europei otterranno una mano, pur non avendone davvero bisogno".


Allarme Daimler, 100 mila posti a rischio
In Germania il presidente della casa automobilistica Daimler, Dieter Zetsche, ha lanciato l'allarme sulla crisi del settore e in particolare dell’azienda di Stoccarda, che produce tra gli altri il marchio Mercedes. In una conferenza stampa riportata dalla Frankfurter Allgemeine Zeitung, Zetsche ha ammesso che "è difficile fare previsioni persino per la prossima settimana", ma che non è alle viste un cambio di rotta, un miglioramento nel mercato dell'auto, dappertutto negativo. Zetsche si è limitato ad esprimere la speranza che le stime su 100 mila posti di lavoro bruciati nella sola Germania, nel settore, non si avverino. Zetsche ha però confermato – riferisce sempre la Faz – che 150 mila lavoratori della branca Mercedes-Benz, ossia di addetti alla produzione di autoveicoli per il consumo privato, saranno sottoposti a un mese di ferie obbligatorie e a riduzione dell'orario di lavoro.


Ue, verso un pacchetto di aiuti da 130 miliardi
La Commissione europea, il prossimo 26 novembre, è pronta a lanciare un pacchetto congiunturale di aiuti alle imprese. La notizia è riportata ancora in un articolo della Faz. Un piano anticrisi comunitario da 130 miliardi di euro, al cui finanziamento "dovranno partecipare tutti gli stati membri (…) in una misura pari ad almeno l'1% del proprio prodotto interno lordo". Per la Germania, scrive la Faz, il contributo ammonterebbe a 25 miliardi di euro. "Il programma prevede investimenti in infrastrutture, protezione del clima, efficientamento energetico, aiuti alle piccole e medie imprese, sostegno all'innovazione". Una parte del bail-out europeo sarebbe finanziata con i fondi strutturali, che ammontano complessivamente a 350 miliardi di euro. L'altra parte, come detto, dal contributo degli stati membri.


La vittoria dei braccianti dell'Ontario
Anche per loro finalmente ci sarà il sindacato. La conquista arriva grazie a un'importante battaglia legale. La Corte d'Appello della regione ha stabilito che gli agricoltori dell'Ontario hanno il diritto di associarsi. Una decisione presa all'unanimità – come raccontano Tracey Tyler e Lesley Ciarula Taylor su The Toronto Star. "Il tribunale ha deciso che l'Agricultural Employees Protection Act, che vieta la contrattazione collettiva per i braccianti, danneggia – in modo sostanziale – il diritto alla libertà di associazione sancito dalla Carta dei diritti e delle libertà." Il provvedimento interessa oltre 32mila lavoratori compresi i 16500 migranti che ogni anno arrivano dal Messico e dai Caraibi.

Le due giornaliste del quotidiano canadese raccolgono la testimonianza di Xin Yuan Liu, un operaio protagonista di questa battaglia. "Sono venuto qui pensando che il Canada fosse un paese giusto con tutti e adesso è la legge a dirlo." Liu e sua moglie si trasferirono dalla Cina nel 1989 per lavorare alla Rol-Land Farms, ma dovettero smettere dopo che i tentativi di Liu di organizzare i suoi 270 colleghi nel sindacato avevano reso la loro vita lavorativa un vero e proprio inferno.


La crisi economica divide i sindacati argentini
La CGT, sindacato filogovernativo argentino, punta a un indennizzo per i lavoratori in caso di licenziamento illegittimo e ostacola l'approvazione di un progetto di legge contro i licenziamenti ingiustificati. Questo progetto è sostenuto dalla CTA, sindacato di impostazione più autonoma e libera rispetto alla politica governativa. La polemica tra i due sindacati è alta: la CGT ribatte che sta cercando il consenso necessario tra le forze politiche perché l'obiettivo è difendere l'economia argentina dall'aggressione del capitalismo straniero. La CTA punta invece ad una legge che intervenga in maniera strutturale per mettere un freno all'arbitrio degli imprenditori in tema di licenziamenti. C'è in gioco anche la legittimazione della CTA in quanto la Corte suprema dovrà decidere su uno storico ricorso della CTA per un suo riconoscimento. Il presidente dell'Unione Industriale Argentina (la Confidustria tedesca) ha dichiarato che i problemi della crisi non si risolvono per legge: la soluzione passa attraverso un aumento dei sussidi, che è quello che sta facendo il governo.