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La discussione sulla direttiva europea su salari minimi e contrattazione entra nel vivo in questi giorni. Il Parlamento e il Consiglio in riunioni formali e informali lavorano alacremente per trovare il più largo consenso possibile su un compromesso molto difficile.
Da una parte alcuni stati membri (9, in particolare) che vorrebbero solo una raccomandazione e dall'altra - anche se su posizioni diverse - gli Stati che vorrebbero una direttiva più vincolante e migliorata sotto molti aspetti. La convinzione della Confederazione europea dei sindacati e della massima parte del sindacato europeo è che senza una direttiva forte e dal carattere stringente non sarà possibile raggiungere alcuni degli obiettivi cruciali per le lavoratrici e i lavoratori in Europa: una lotta al dumping a tutto campo, i divari salariali di genere chiusi, la fine del lavoro povero, il diritto a un contratto collettivo forte e a salari che consentano livelli di vita dignitosi, la fine di discriminazioni nei confronti delle categorie più deboli nel mercato del lavoro, il rispetto del ruolo del sindacato.
La discussione istituzionale è molto vivace e vede diverse anime contrapposte confrontarsi con toni, a volte, aspri. Nessuno si contrappone agli obiettivi, in molti si chiedono però se lo strumento sia adeguato.
Da una parte la discussione istituzionale, dall'altra un mondo del lavoro in Europa che è ancora molto provato dagli effetti delle politiche di austerità e neoliberali che hanno contraddistinto l'ultimo decennio di politiche sociali europee. Lo dimostra la realtà cruda dei numeri: una diminuzione drammatica della copertura della contrattazione collettiva, salari che non crescono e prerogative delle parti sociali sempre più erose e messe in discussione (con rare eccezioni). Ecco perché il mondo del lavoro si aspetta, proprio come segnale di netta inversione di tendenza, un'iniziativa che produca risultati concreti.
La crisi scatenata dalla pandemia non ha fatto altro che esacerbare questa situazione; un'azione debole delle istituzioni europee minerebbe ulteriormente il livello di fiducia dei cittadini nel progetto europeo. Un rischio che non si può correre, soprattutto in vista della scadenza elettorale del 2023.
Ecco perché assieme ad alcuni altri sindacati europei (la Fgtb del Belgio, Ccoo Spagna, Fnv Olanda e Sak Finlandia) la Cgil ha voluto, grazie alla voce delle lavoratrici e dei lavoratori di quei servizi - spesso considerati essenziali - unirsi per dire che occorre aumentare i salari e rafforzare la contrattazione inclusiva in tutta Europa, pur nel pieno rispetto dei diversi sistemi nazionali di contrattazione e fissazione dei salari. Un altro tassello fondamentale per lasciarsi definitivamente alle spalle un modello fallito basato sull'austerità che ha prodotto un'Europa più divisa, più povera e più debole.
Dal mondo del lavoro può ripartire un percorso di ri-progettazione dell'Unione anche nel contesto del dibattito della Conferenza sul futuro dell'Europa, del Piano di resilienza e sviluppo e dell'implementazione tramite un piano di azione del Pilastro europeo dei diritti sociali. Dossier che nella prima settimana di maggio saranno al centro di summit ed eventi di lancio con la presenza dei Capi di stato e dei vertici delle parti sociali europee.