In Russia il tentato golpe, tra il 23 e il 24 giugno, guidato dal capo dell’organizzazione Wagner, Yevgeny Prigozhin, è la manifestazione delle profonde crepe nel "sistema Putin", messo a rischio da contrasti interni, sullo sfondo del conflitto in Ucraina e di assetti geopolitici in movimento.
Si moltiplicano le notizie che arrivano da Mosca, ma resta difficile avere un quadro della situazione e prevedere quali saranno le mosse del presidente Vladimir Putin. C’è di aiuto l’analisi di Orietta Moscatelli, giornalista della rivista Limes, caporedattrice Esteri dell’agenzia Askanews e che ha vissuto per anni nella capitale russa. Moscatelli premette che ancora sono totalmente da chiarire le dinamiche e i reali obiettivi dell’insurrezione armata, anche se appare però chiaro che “la cavalcata dei combattenti della Wagner abbia segnato come un piccolo infarto nel sistema di potere dello zar. La macchina del potere russo è qualcosa di molto più ampio del solo presidente Vladimir Putin, che noi siamo invece abituati a pensare come uno che decide, fa, disfa in completa solitudine”.
Il sistema
Non un uomo solo al comando, spiega quindi la giornalista: “Ci sono dei gruppi che sono costantemente in conflitto fra di loro, con degli interessi contrapposti in altrettanto costante competizione, e tutto questo è aggravato dal conflitto che da un anno e mezzo va avanti in Ucraina. Prigozhin è stato considerato sino a poco tempo fa una disturbatore della quiete putiniana, ma tollerato dallo stesso Putin proprio perché utile e imprescindibile nel teatro bellico. È successo quindi che la mattina del 24 giugno il Cremlino era convinto che comunque, nel conflitto aperto e sempre più scottante tra Prigozhin e i vertici della Difesa russa, si sarebbe arrivati a un compromesso sulla base di un negoziato che ha avuto tante puntate e che va avanti ancora dalla guerra in Siria del 2015-2016. La reazione di Putin, la decisione di definirlo un tradimento, ha fissato questa sfida aperta del capo della Wagner come una minaccia, una sfida al potere costituito Russo".
“Putin – prosegue - in quel momento è risultato debole, perché, se taci per settimane mentre Prigozhin manda a quel paese tutti i giorni a tutte le ore il tuo ministro della Difesa e il tuo capo dello Stato maggiore e poi improvvisamente punti il dito contro il traditore, vuole dire che non hai capito, oppure che qualcosa non ha funzionato. Quindi ora il presidente cercherà di fare quello che da sempre fa: trasformare un momento di debolezza evidente in una fase di riconsolidamento del suo sistema di potere. Possiamo aspettarci delle purghe, un generale repulisti, e agire poi di conseguenza. Il dato di fondo è che il sistema di potere Russo non rischia di morire a causa della sfida di Prigozhin, ma per un’erosione sullo sfondo di una guerra che è sempre più difficile da gestire all'interno dell'elite”.
La Cina
Tra le difficoltà di gestione Moscatelli individua “un aspetto che forse è un po' sottovalutato, non particolarmente evidente, ma molto importante per la Russia: ci sono diversi settori, diverse figure all'interno del cosiddetto cerchio magico di Putin, che temono sempre di più questo scivolamento della Russia verso la Cina e quindi il passaggio della Federazione russa in una situazione di inevitabile dipendenza, quasi di vassallaggio nei confronti di Pechino. Ciò crea forti tensioni all'interno proprio della stanza dei bottoni, soprattutto nella sfera dei tecnocrati, di coloro che hanno a che fare con l'economia, molto allarmati da questa deriva verso Est che è poco gestita.
D’altronde non può essere altrimenti, perché Mosca ha bisogno di Pechino come mercato, come interlocutore economico e non solo. Contemporaneamente però Pechino, nel quadro internazionale, ha bisogno di Mosca per contrapporsi e portare avanti il confronto con gli Stati Uniti, ma non può permettersi una Russia che vada in pezzi, perché un alleato (anche se magari scomodo) che va in pezzi diventa chiaramente un peso difficile da smaltire. Nella capitale cinese ci sono sempre più perplessità e una certa irritazione nei confronti di questo amico teoricamente senza limiti, ma che di limiti ne mostra sempre di più”.
Wagner, solamente mercenari?
Il tema della Cina ci conduce al quadro internazionale, sino ad arrivare alla presenza della Wagner in Africa, una delle circostanze che fanno pensare a un errore avere liquidato il gruppo solamente come un insieme di mercenari e ne sarebbe dimostrazione anche la notizia diffusa dalla Cnn che vede il generale russo Sergey Surovikin membro ‘vip’ segreto della Wagner. “Noi ci siamo un po' raccontati la storia dei combattenti, mercenari o adesso carcerati in cerca di redenzione o di amicizie tramite la guerra – conferma Moscatelli -, ma in realtà questa compagnia militare privata nasce nel 2011-2012 ed entra in azione per la prima volta nel 2014 tra annessione della Crimea e guerra non dichiarata nel Donbass. La Wagner è composta in consistente parte da ex militari, ex ufficiali sia dell'intelligence che della Difesa, quindi è qualcosa di molto più articolato e molto più serio e come organizzazione non pare vada a scomparire".
"In Africa, l'ha già detto il ministro degli Esteri russo Lavrov, che piaccia o meno Wagner ci deve rimanere, perché lì è una proiezione diretta di potenza dello Stato Russo e ha anche un proprio agente sul terreno per fornire servizi a pagamento e per ottenere dei tornaconti sotto forma di contratti estrattivi minerari e quant'altro. Sul fronte interno c'è da capire cosa la Wagner diventerà, se una sorta di avamposto di addestramento e di risorse pronte all'uso e dislocate in Bielorussia, o rimarrà in parte anche in Russia. Certamente la rottura con Prigozhin (sempre che alla fine di questa storia la rottura si riveli definitiva) non determina la fine della compagnia militare Wagner”.
Per Moscatelli “molto interessante è che il motivo del contendere, forse il grilletto che ha fatto scoppiare questa insurrezione, è stato proprio la decisione di mettere le varie compagnie militari che sono fiorite sulla scia del conflitto in Ucraina sotto il cappello della Difesa, cioè integrarle per farle uscire dalla sfera del privato e mandarle dentro il calderone della macchina militare pubblica, proprio perché sono temute. La cultura militare russa è sempre centralizzata, fa riferimento all'autocrate, che sia lo zar o il presidente".
Oggi il rischio è di "tracollare come Paese in una balcanizzazione, con degli eserciti dei ‘signori della guerra’ che controllano un settore e l’altro, una ragione e l'altra - conclude -. Questo ha spinto poi il Cremlino a dire ‘adesso basta, ci regolarizziamo’ e ha spinto invece Prigozhin dire ‘o adesso o mai più, mi sgancio, o soccombo o prevalgo’. Vedremo quindi quale sarà l'essere definitivo”.