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“Ho sempre pensato che il destino dell'Ucraina fosse quello di essere uno Stato neutrale, una specie di Svizzera dell'Europa centro-orientale, e continuo a pensarlo anche ora nel pieno di questa crisi”. Sergio Romano – giornalista, storico e soprattutto ambasciatore in anni cruciali presso la Nato e l’Urss – ha una visione molto lucida di ciò che sta accadendo nell’Europa dell’Est, una situazione complessa e articolata dal punto di vista geo-politico, sociale ed economico e che aveva già sviscerato in L'Europa tra Putin, Trump e Xi pubblicato da Ediesse nel 2019.
Quindi per lei il compromesso per far cessare le ostilità andrebbe trovato qui…
Intanto c’è un dato interessante: sono in corso dei negoziati. Il fatto che le parti in conflitto continuino a parlarsi è positivo. Quale sarà il risultato nessuno di noi per il momento può saperlo, ma parlarsi è sempre importante.
Torniamo al tema della neutralità dell'Ucraina…
Trovo interessante - anche se il tutto va preso con grande prudenza - che il concetto di neutralità sembra essere entrato anche nel progetto di Putin. Certo, il leader russo parla anche di una Ucraina denazificata, ma questo fa parte della sua propaganda, della sua strategia. Però poi aggiunge che l’obiettivo finale è la neutralità del paese. Per fortuna questa parola non è scomparsa dal linguaggio politico, staremo a vedere. Anche se, ripeto: quello che sta dicendo Putin in questo momento va preso con le pinze, perché è nel mezzo di una guerra particolare, certo diversa dalle solite, ma è pur sempre una guerra e lui cerca di vincerla con tutti i mezzi che ha a disposizione.
Emerge da più parti un’analisi critica del rapporto tra Nato ed Europa. Qualcuno si chiede se abbia senso che la Nato mantenga un ruolo così forte, dal momento che il blocco sovietico non esiste più. Altri invece pensano che la minaccia di Putin confermi l’importanza di una forte presenza difensiva dell’alleanza. Cosa ne pensa?
Io credo che l’Unione europea abbia sofferto le conseguenze della presenza della Nato, perché i paesi dell’Est che sono entrati nella Nato e che sono anche membri dell’Ue tengono più alla Nato di quanto non tengano all’Unione.
Perché secondo lei?
Perché la Nato assicura loro ciò a cui più tengono: vale a dire un rapporto molto stretto con gli Usa da cui sperano anche di essere protetti in certe eventualità. Insomma: abbiamo acquisito dei membri che - uso una brutta espressione – hanno un “padrone” altrove. E questo non giova all’Unione: significa che abbiamo degli amici che non sono del tutto amici.
Il lungo tavolo di Putin, quello dell’incontro con Macron, mostra plasticamente il potere assoluto del leader russo, ma forse anche la sua solitudine. Lei crede che le sanzioni potrebbero intaccare la sua leadership, magari a partire proprio da quegli oligarchi che verrebbero minacciate le proprie ricchezze?
A oggi questo non si può dire. Molto dipende dal modo in cui questa crisi finirà. Se ci sarà un’interruzione delle ostilità concordata dalle due parti con un compromesso, Putin ne uscirebbe bene. Dopo essere stato il conquistatore diventerebbe il grande pacificatore: in questo caso ho l’impressione che avrebbe ancora una lunga carriera di fronte a sé.
E l’Europa? Con questa crisi si è riscoperta più unita di quanto sembrasse, a dispetto di un Putin che aveva sperato di acuirne le differenze. Cosa dovrebbe fare ora l’Unione secondo lei?
Sono convinto che il prossimo passo per garantirsi un’esistenza “positiva” nel tempo sia quello di dotarsi di un’organizzazione militare comune. In altre parole, l’Unione europea deve sostituirsi alla Nato. Come lei ricorderà Macron ci aveva provato, ma la cosa ovviamente non piacque a Washington perché, appunto, questo avrebbe comportato il declino della alleanza atlantica. Malauguratamente non piacque anche a parecchi paesi dell’Ue che tengono al rapporto con gli Usa e non vogliono comprometterlo mettendo in discussione la Nato.