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Lenta.ru è un giornale online di Mosca, attualmente di proprietà della Sberbank, la più importante istituzione finanziaria russa, controllata dal Cremlino e sottoposta alcuni giorni fa alle sanzioni dell’Unione europea e degli Stati Uniti. Il giornale è, tra quelli online, uno dei più popolari in Russia, ricevendo almeno seicentomila visualizzazioni al giorno; è per questa ragione che è decisamente clamorosa l’iniziativa di due giornalisti, Egor Poljakov e Aleksandra Mirošnikova, rispettivamente redattore capo e redattrice della sezione Economia e Ambiente, che hanno sostituito articoli già pubblicati l’8 e il 9 maggio con altrettanto materiale contro la guerra.
Così, mentre Vladimir Putin commemorava i caduti della Grande Guerra Patriottica – nella ricorrenza più importante, indistintamente, per tutti i cittadini russi, che in ogni famiglia piangono almeno uno dei 27 milioni di vittime sovietiche del secondo conflitto mondiale – collegandoli idealmente ai morti russi di questa guerra ed elevando quindi l’azione attuale al livello della difesa della patria contro le armate di Hitler, sulla testata pro-Cremlino si potevano leggere 20 articoli di questo tenore: “Putin ha scatenato una delle guerre più sanguinose del 21esimo secolo”, “La Russia abbandona i corpi dei suoi soldati in Ucraina” , “È più facile nascondere l’insuccesso economico con una guerra. Putin se ne deve andare. Ha scatenato una guerra insensata e sta portando la Russia all’oblio”, “Le autorità russe hanno proibito ai giornalisti di dire qualunque cosa negativa”. In quest’ultimo articolo, gli autori della protesta si autodenunciano, terminando con “Cerchiamo lavoro, avvocati e, molto probabilmente, asilo politico! Non abbiate paura…non siete soli, siamo in molti! Il futuro è nostro, fanculo la guerra! Pace all’Ucraina!”. I due sono ora all’estero e non hanno naturalmente più accesso alla testata.
Non sono queste le sole defezioni nelle compagini dei mezzi d'informazione vicini al potere. Non c’è stata solo la plateale azione di Marina Ovsjannikova, con il suo cartello contro la guerra esibito durante il principale notiziario di Pervij Kanal (il primo canale di stato); se ne sono andati dalla rete anche la Prima corrispondente speciale Žanna Agalakova e ancora prima di loro Dmitrij Likin, architetto e designer capo del canale, il quale, con 24 anni di servizio alle spalle, si è dichiarato convinto che “ogni vita umana è senza prezzo” e che il canale abbia abbandonato qualunque aspirazione (o velleità?) di mantenere una posizione equilibrata e centrista. Dopo il suo gesto, la stessa Marina Ovsjannikova raccontava, del resto, che nei canali TV statali ci sono molti liberali e che, comunque, anche coloro che non lo sono non condividono al 100% il punto di vista della leadership. Anzi, molti suoi colleghi abbassavano il volume della tv quando veniva trasmesso il telegiornale, Vremja. Nel mese di aprile anche Elena Bunina, Amministratrice delegata di Yandex – il maggiore motore di ricerca russo – si è dimessa, dichiarando di non poter “vivere in un paese in guerra con i vicini”.
Molto più di quanto non si faccia trapelare ufficialmente, tali prese di posizione sono sicuramente una spina nel fianco del Cremlino, forse anche più fastidiosa di quella rappresentata dalle proteste di piazza, che sono comunque continuate regolarmente anche nella cornice del Giorno della Vittoria, risultando in 125 arresti per varie iniziative. C’è stato chi, raccogliendo l’invito dell’organizzazione giovanile Vesna, ha sfilato nella marcia dei discendenti dei veterani del “Reggimento immortale” – quella in cui ognuno brandisce un cartello con la foto e il nome di un parente morto o disperso – inalberando i ritratti dei propri cari ma corredandoli con slogan come “Non hanno combattuto per questo”, “Abbiamo sconfitto quel fascismo, sconfiggeremo anche questo”, “Mi vergogno di voi, nipoti!”, “Abbiamo combattuto per la pace, voi avete scelto la guerra!”. A San Pietroburgo, un deputato del consiglio comunale è stato arrestato perché portava il ritratto di Boris Romančenko, il novantaseienne ucraino sopravvissuto all’Olocausto e morto ora a Char’kiv sotto i bombardamenti.
Al di fuori delle celebrazioni, il riferimento ai “Ragazzi in Zinco” di Svjatlana Aleksevič, il libro della Premio Nobel bielorussa sull’Afganistan e sui giovani soldati tornati in patria nelle bare, è costato l’arresto a una femminista di San Pietroburgo che, seduta su una panchina, ostentava il libro, aderendo all’iniziativa di protesta indetta dalle Donne in Nero; stessa sorte è toccata a un artista che ha disegnato una serie di bare, chiamandole “Il nostro zinco!”. Si tratta di una potente raffigurazione della tragedia nella tragedia, quella dei giovani militari russi caduti in più di 25mila, secondo l’informazione riportata nell’articolo su Lenta.ru. Per un pubblico cui le dichiarazioni ufficiali assicurano che “la morte dei nostri soldati e ufficiali è un cordoglio per tutti noi”, i due coraggiosi giornalisti denunciano come le autorità abbiano fatto pressione su giornalisti e parenti delle vittime affinché non fossero pubblicate informazioni sui soldati uccisi e concludono che “le autorità hanno lasciato i cittadini in un limbo di incomprensione su ciò che sta accadendo “.