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L'Unione europea si trova ad affrontare un periodo particolarmente difficile: da una parte un dibattito stentato e divisivo sulla necessità di riformare un'architettura istituzionale che ha dimostrato durante le ultime crisi economiche (e in quella sanitaria attuale) forti limiti. Dall'altra forze conservatrici che mirano dall'interno e dall'esterno al disfacimento del progetto dell'Unione e del suo portato culturale e valoriale, a cominciare proprio dalla promozione e difesa dei diritti civili.
Le iniziative messe in campo per la difesa dello stato di diritto nell'Unione da parte della Commissione sono decisamente inefficaci e deboli, se si guarda alla gravità di quanto accaduto negli ultimi anni in alcuni Paesi e al complessivo deteriorarsi della situazione in Stati circostanti (vedi la Crimea, le elezioni in Bielorussia ecc). La necessità di vigilare sulle derive autoritarie e integraliste in atto in Europa è stata più volte sollecitata dalla Cgil negli ultimi anni: l’abbiamo fatto con l’ufficio Nuovi diritti insieme ad altre istanze della nostra organizzazione (prime fra tutti le Politiche internazionali e le Politiche di genere), muovendosi con altre realtà esterne e attive su questi temi. Questo allarme ha purtroppo trovato conferma in quanto sta succedendo in Polonia, durante questa estate per tanti aspetti insolita. Abbiamo, insieme alla Confederazione europea dei sindacati e ad altre organizzazioni, espresso solidarietà e vicinanza al sindacato polacco Opzz, che ha condannato fermamente i ripetuti attacchi alle libertà delle persone Lgbtq nel Paese e chiesto il sostegno a livello europeo e internazionale.
Ludovic Voet, segretario confederale della Ces, ha recentemente riaffermato in un comunicato la solidarietà ai sindacati e alla società civile polacca impegnati nella difesa dei diritti umani fondamentali. "La Ces continua a seguire con attenzione la situazione in Polonia per assicurare che questo difficile confronto continui a essere presente nell'agenda delle istituzioni europee - ha scritto -. Insieme ai sindacati polacchi e di altri Paesi europei, continuiamo a sviluppare strumenti per migliorare le condizioni di lavoro delle persone Lgbti, per promuovere luoghi di lavoro inclusivi e senza omofobia. Affrontare in modo strutturale le discriminazioni, garantire salari dignitosi, servizi pubblici forti, istruzione e il diritto alla casa alle persone Lgbti sono alcune delle nostre richieste in vista dell'imminente approvazione della Strategia europea per l'uguaglianza Lgbti".
L'anno scorso la diffusione di un importante documento del Forum del Parlamento europeo, intitolato “Ristabilire l’ordine naturale”, tradotto in Italia a cura della sezione torinese "Se non ora quando", aveva gettato una luce sinistra sui movimenti reazionari, integralisti e confessionali che muovono le loro pedine in Europa con la finalità ossessiva di muovere un attacco alla comunità gay lesbica e trans e ai diritti sessuali e riproduttivi delle persone. Una finalità perseguita non in ordine sparso, ma attraverso l’elaborazione di un’agenda comune (la cosiddetta Agenda Europa), attraverso l’infilitrazione nelle istituzioni europee e transnazionali che si occupano dei diritti sessuali e riproduttivi, con incontri annuali e connessioni più o meno apparenti tra i movimenti sovranisti e integralisti che si muovono in varie parti del mondo e del nostro continente.
Già da allora appariva chiaro il ruolo di testa d’ariete che la Polonia si era ritagliata in quest’ambito anche grazie alla presa del potere da parte del Pis, il partito di ispirazione conservatrice e clericale attualmente al governo del Paese. Non avevamo trascurato, inoltre, nel corso del 2019, di segnalare la campagna discriminatoria realizzata attraverso la creazione delle cosiddette “Lgbt free zone”, (città libere dall’influenza Lgbt) in molte municipalità del Paese, sottolineando anche le possibili ricadute in termini di esclusione o discriminazione sul lavoro delle persone gay, lesbiche e trans. Ma, nell’anno in corso le cose sembrano essere arrivate a un punto di non ritorno, la conferma della presidenza Duda nelle elezioni di giugno-luglio di quest’anno ha sicuramente dato maggior fiato alle posizioni integraliste già tanto diffuse. La situazione è precipitata nel mese di agosto con l’arresto dell’attivista Margot Szutowicz, persona trans non binaria, la cui custodia cautelare durerà due mesi in un carcere maschile: custodia peraltro spropositata rispetto all’accusa di aver bucato le gomme di un furgone di un’associazione omotransfobica che diffonde nel Paese messaggi calunniosi pesantissimi nei confronti della comunità Lgbtqi, associando impunemente omosessualità e pedofilia.
Nei giorni successivi all’arresto di Margot Szutowicz il movimento Lgbtqi è sceso in piazza per protestare contro l’ingiusta detenzione dell’attivista, ma le manifestazioni sono state duramente represse e hanno condotto ad ulteriori arresti. La ciliegina su una torta già indigesta è stato l’avvio, a fine luglio, della procedura per il recesso della Polonia dalla Convenzione di Istanbul, in un attacco concentrico che coinvolge le donne, le persone gay, lesbiche, trans e in generale i diritti sessuali e riproduttivi. Non è per nulla estranea a questa deriva la Chiesa Polacca: i vescovi, riuniti a fine agosto per discutere dello scandalo pedofilia che ha recentemente colpito anche in quel paese le gerarchie ecclesiastiche, hanno ritenuto più conveniente distrarre l’attenzione rilanciando le famigerate terapie di conversione. Tutto questo, non va mai dimenticato, accade in un Paese membro dell’Unione europea, cosa che potrebbe aprire qualche spiraglio positivo se le istituzioni europee, come insistentemente richiesto, intervenissero in maniera decisa per il rispetto e l’inviolabilità dei diritti fondamentali negli Stati membri. Numerose infatti sono state le prese di posizione e gli appelli che si sono susseguiti anche nel nostro Paese, per chiedere al nostro governo e agli organismi europei un duro intervento nei confronti del governo polacco, affinché ponga fine a comportamenti e provvedimenti inconciliabili con l’appartenenza all’Unione e con i suoi principi fondamentali e fondanti.