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Dopo dodici ore di negoziati, Consiglio, Parlamento e Commissione europei hanno trovato finalmente un accordo. Adesso tocca agli Stati membri approvare o meno il testo comune, con un voto finale che è previsto per mercoledì prossimo. La cosiddetta “direttiva rider” attesa da anni forse vedrà la luce prima di Natale regolando l’attività dei lavoratori su piattaforma. In che modo? Con un accordo storico, come lo ha definito la relatrice Elisabetta Gualmini, che fa fare parecchi passi in avanti a 5,5 milioni di addetti in tutta Europa, di cui circa 700 mila in Italia (ma con l’indotto si arriva a 30 milioni nell’Unione).
Nella prima serie di norme a livello comunitario sulla gestione del lavoro tramite piattaforme, algoritmi e intelligenza artificiale non c’è la presunzione generale di subordinazione, come aveva chiesto fin all’inizio il sindacato europeo, ma un compromesso che può essere considerato soddisfacente.
Inversione dell’onere della prova
“Secondo la proposta, se il lavoratore contesta il suo status occupazionale e sostiene che è dipendente e non autonomo, è la piattaforma che deve dimostrare il contrario”, spiega Nicola Marongiu, responsabile dell’area contrattazione, politiche industriali e del lavoro della Cgil. È l’inversione dell’onere della prova, un punto assolutamente qualificante della direttiva.
Due criteri su cinque
In pratica, l’obbligo di assunzione come dipendente scatta se sono rispettati almeno due criteri su cinque tra quelli individuati nella bozza, un elenco che potrebbe essere ampliato dagli Stati membri: se la piattaforma determina il livello di retribuzione o fissa i limiti massimi; se supervisiona lo svolgimento del lavoro anche per via elettronica; se determina o controlla la distribuzione o l’assegnazione dei compiti; la stessa cosa per le condizioni di lavoro o le prestazioni o la discrezionalità nello scegliere l’orario o i periodi di assenza; se limita la libertà di organizzare il lavoro o impone la presenza della persona.
L’ispettorato indaga
“Altro punto positivo – aggiunge Marongiu -: il lavoratore che solleva il caso riceve assistenza dagli organi di protezione sociale del Paese, mentre l’ispettorato nazionale avvia un’attività di indagine a livello nazionale nei confronti del complesso dell’azienda che opera con quelle stesse modalità. Non si tratta di un ‘erga omnes giudiziario’, cioè la vittoria di un caso non porta all’applicazione integrale delle tutele del contratto da dipendente a tutti gli addetti di quella società, però l’azione ispettiva può determinare il vincolo all’applicazione dello stesso modello a tutti i lavoratori”.
Chi distribuisce i compiti
Tra i cinque criteri sulla base dei quali si determina la presunzione di dipendenza, ne è stato introdotto uno particolarmente importante: “La piattaforma digitale determina o controlla la distribuzione o l’assegnazione dei compiti – dice ancora il sindacalista -. Questo punto rende evidente che se è la piattaforma che distribuisce i compiti e sovrintende alla loro assegnazione, non si può ritenere quel rapporto di lavoro come autonomo”.
Paesi pro e Paesi contro
Anche se la proposta che andrà al voto finale è migliore rispetto a quella approvata dal Consiglio europeo, la Confederazione europea dei sindacati è preoccupata: alcuni Stati membri potrebbero contrastarla perché non vogliono una direttiva così stringente che stabilisce l’inversione dell’onere della prova. Contro potrebbero schierarsi Germania, Francia, Paesi dell’Est; pro Belgio, Olanda, Spagna e Grecia. Dopo l’ok definitivo, gli Stati avranno due anni di tempo per recepirla.
Fine del selvaggio West
“C’è un genuino tentativo di affrontare i gravi problemi dei lavoratori della Gig economy – ha detto il segretario confederale della Ces Ludovic Voet commentando l’accordo e facendo presente che non è ancora noto il testo ufficiale -. Le piattaforme hanno costretto fattorini, tassisti, badanti, addetti alle pulizie a un falso lavoro autonomo per non pagare le ferie, i sussidi di malattia o la previdenza sociale. Questo dovrebbe essere l’inizio della fine del ‘selvaggio West’ per i diritti dei lavoratori, ma ora spetta agli Stati membri la responsabilità di applicare adeguatamente le misure concordate oggi se vogliono fare la differenza”.